27/12/2005
Micropolis
Gli emigranti non giocano
Presentato il Dossier statistico 2005 sull’immigrazione
Nell’ambito di un incontro organizzato
a Bastia Umbra dal circolo
culturale “Primomaggio” e dalla
Caritas Diocesana, per riflettere
sul fenomeno dell’immigrazione a Bastia, è
stato presentato il Dossier Statistico
Immigrazione della Caritas-Migrantes. Questa
XV edizione del Rapporto è accompagnata
dallo slogan “immigrazione è globalizzazione”,
uno slogan scelto per sottolineare che il
fenomeno della mobilità è andato sviluppandosi
in maniera sempre più accelerata nel
mondo globalizzato di oggi e ne è diventato
una delle sue più significative espressioni.
Nonostante la falsa rappresentazione che
ancora oggi gli organi di informazione di
massa danno di questo fenomeno, il
Rapporto dimostra che gli immigrati, in Italia
e negli altri paesi europei, sono soprattutto
una risorsa dal punto di vista demografico e
occupazionale: grazie ad essi la popolazione
non diminuisce e si aggiunge una quota di
forza lavoro suppletiva indispensabile in
diversi settori. Troppo spesso si parla di immigrazione
solo richiamando argomenti estranei
alla questione che pone la presenza di stranieri
in Italia: sicurezza, legalità, solidarietà, . tutte
parole che non hanno alcun legame con la
gestione di un fenomeno sociale che necessita
di regole eque, giuste ed efficaci. Spetta
soprattutto agli amministratori pubblici locali,
certo non aiutati dalle recenti leggi nazionali
in materia, come la Bossi-Fini e la Turco-
Napolitano, trovare risposte alla crescente
complessità dei fenomeni migratori e promuovere
politiche di integrazione sociale e
culturale.
Numeri e problematiche
I dati che Stella Cerasa, Responsabile del
Centro di Ascolto Diocesano della Caritas di
Perugia, ha raccolto nel capitolo del Dossier
dedicato al contesto regionale umbro, devono
essere punto di partenza per capire quali vantaggi,
ma anche quali problematiche profonde,
porta con sé il fenomeno dell’immigrazione.
“Questo libro - ha detto Stella Cerasa,
intervenuta all’incontro - non si legge certo
tutto d’un fiato! Si tratta di un insieme di dati
raccolti nei Centri di Ascolto Caritas che sono
importanti e che ci aiutano a porci delle
domande”. Oggi, gli stranieri regolarmente
soggiornanti in Italia sono 2 milioni e 800
mila, tanti se pensiamo che nel 1970 gli
immigrati erano 144 mila, meno degli italiani
che in quell’anno avevano preso la via dell’esodo
(152 mila). A 35 anni di distanza la
situazione è radicalmente cambiata e l’Italia è
diventato il terzo paese d’Europa, dopo
Germania e Francia, per numero di immigrati.
Il 2004 è stato un anno di afflusso medio, con
circa 131 mila ingressi, di cui 32 mila per
lavoro (oltre a 45 mila stagionali extracomunitari
e 32 mila neocomunitari), 78 mila per
ricongiungimenti familiari, 6000 per motivi
religiosi, 5000 per studi universitari e meno
di 1000 per residenza elettiva. Protagonisti
dell’accesso al lavoro sono innanzitutto la
Romania (40% dei visti) e quindi, molto
distanziati, Albania, Marocco e Polonia, ciascuno
con quote tra il 15 e il 10%. I ricongiungimenti
familiari vedono saldamente in
testa il Marocco e l’Albania, seguiti da
Romania, Cina, India, Ucraina ecc. Anche il
2005 è stato un anno molto movimentato. La
quota ufficiale è stata di 179 mila nuovi lavoratori
ma, a fronte di un numero di 99.500
posti riservati ai non comunitari, per gli altri
sono state presentate ben 240 mila domande
dai datori di lavoro e dalle famiglie. I flussi di
ingresso irregolare, che non sono una prerogativa
esclusiva dell’Italia, nell’Ue ammontano a
circa mezzo milione. La disciplina degli
ingressi, incentrata sul principio della subordinazione
dell’autorizzazione all’ingresso dello
straniero all’incontro a livello planetario tra
domanda e offerta di lavoro, non è riuscita a
governare i flussi di ingresso, realizzando meccanismi
del tutto impraticabili di cui oggi si
chiede da più parti il superamento.
In Italia, l’arrivo via mare è quello che maggiormente
colpisce l’opinione pubblica, per i
numeri ma anche per le condizioni di viaggio,
eppure incide solo per il 10% sul totale; un
altro 15% passa attraverso le frontiere, mentre
i restanti 3/4 sono costituiti da persone entrate
con regolare visto e fermatesi oltre la scadenza.
Il mare non è solo una via di passaggio,
ma fa da sfondo a molte tragedie.
Secondo fonti spagnole nel 2004 circa 500
persone sono morte nel tentativo di raggiungere
le coste di quel paese. In Italia non si
dispone di questa statistica, presumibilmente
molto più alta, ma si sa che nello stesso anno
sono sbarcate 13.635 persone. I Paesi maggiormente
coinvolti sono quelli africani e
mediorientali, ma anche Bangladesh e
Pakistan. Nel 2004 il numero delle persone
che hanno ricevuto un provvedimento di
allontanamento dall’Italia è di circa 105 mila,
ma è diminuito, rispetto allo scorso anno, la
quota di chi è stato effettivamente rimpatriato,
anche grazie alla sentenza della Corte
Costituzionale che ha dichiarato illegittimi gli
allontanamenti effettuati prima della convalida
giudiziaria.
Uno sguardo sull’Umbria
Gli aspetti che Stella Cerasa e gli altri interlocutori,
tra cui Luigino Ciotti (presidente del
circolo “Primomaggio”) e Giocondo Leonardi
(Presidente della Caritas Diocesana) hanno
voluto sottolinerare riguardano in particolare
alcuni fenomeni e problematiche che si sono
riscontrati in Umbria. Innanzitutto i dati: nel
2004 in Umbria sono presenti 56 mila immigrati
regolati, di cui 45 mila nella Provincia di
Perugia e 11 mila a Terni.
“Chi emigra - ha dichiarato Stella Cerasa, che
da anni lavora a stretto contatto con gli immigrati
- non lo fa per gioco!”, ed è sicura di
questa sua affermazione perché chi arriva in
Italia vuole trovare un lavoro e spesso lascia
tutto per sfuggire ad una situazione di
povertà. E sottolinea il fenomeno delle
donne, soprattutto di quelle che, con la valigia
in mano, sole, e sempre più spesso non
giovanissime, arrivano al centro Caritas per
trovare un lavoro da badanti o nelle aziende.
Nel reparto psichiatrico della Asl di Perugia
sono ricoverate continuamente donne straniere
che vengono lasciate sole presso anziani
molto malati, senza nessun altra persona a cui
poter fare riferimento. Le donne rappresentano
sicuramente la fascia più svantaggiata e più
sola, come testimoniano i tanti casi di giovanissime
costrette alla prostituzione.
Accanto alle donne, il fenomeno più preoccupante
è quello dei minori non accompagnati,
soprattutto rumeni, che sono in costante
aumento, come dimostra l’incidenza dei
minori, pari al 18,7%, sulla popolazione straniera
complessiva. Questi minori vengono letteralmente
gestiti da sfruttatori per i lavori ai
semafori.
Altro elemento di forte interesse, dove emerge
il contrasto tra la concezione di immigrato
come risorsa e immigrato come problema, è
l’inserimento scolastico. Se qualche scuola
considera i figli degli immigrati fonte di problemi,
ci sono dei Presidi che vanno a chiedere
di far iscrivere immigrati nelle loro scuole,
per non essere costretti a chiuderle. E la scuola
è uno dei luoghi dove emergono le contraddizioni
della legge Bossi-Fini, perché
anche i clandestini sono obbligati a mandare i
figli a scuola, con tutti i rischi che comporterebbe
una loro individuazione e, conseguentemente,
espulsione.
Dopo l’ultima regolarizzazione e dopo la
deludente esperienza del gennaio 2004 e del
febbraio 2005 delle quote dei nuovi ingressi
di immigrati, assegnate purtroppo all’Umbria
in maniera irrisoria, la manodopera non regolare
è andata aumentando: parliamo soprattutto
di cittadini provenienti dall’Europa
dell’Est. Impossibile quantificare il fenomeno,
eppure emergono episodi che fanno riflettere.
Alcuni imprenditori edili sono stati denunciati
per l’utilizzo di manodopera clandestina e
due infortuni sul lavoro, raccontati nel Dossier
sull’Umbria, sono emblematici. Nel primo
caso un cittadino del Marocco, dopo una
caduta da un’impalcatura non è stato soccorso
perché creduto morto. Nel secondo caso un
cittadino della Romania è stato lasciato in fin
di vita dentro il furgone di un sacerdote.
Basta osservare le nostre realtà locali, ha detto
Luigino Ciotti illustrando i dati di Bastia, per
capire la tipologia di lavoro che spetta agli
immigrati nelle fabbriche: dove sono inferiori
gli standard di sicurezza e più dure le condizioni
di lavoro. Una situazione resa ancora più
difficile dalla difficoltà di trovare alloggi e
dalla mancanza di piani di edilizia popolare.
Ma forse la mancanza più importante è quella
di una cultura politica dei diritti e delle esigenze
dei migranti, che dovrebbe considerare
veramente le realtà che oggi vivono gli stranieri,
i meccanismi di esclusione, sfruttamento
e repressione a cui sono sottoposti, le leggi
discriminatorie alle quali devono sottostare.
L’impianto giuridico, amministrativo e politico
che ha segnato le politiche sull’immigrazione
è centrato sull’efficacia delle espulsioni e
sulla repressione.
Questa parte che dovrebbe essere residuale è
stata ed è ancora oggi, anche in termini di
impegni economici, la parte principale.
L’introduzione dei Cpt, centri di permanenza
temporanea per gli immigrati in attesa di
espulsione, ne è la testimonianza. Nonostante
le denunce, le prove documentate, le visite
effettuate da delegazioni di parlamentari, che
hanno dimostrato la totale assenza di interpreti,
di servizi di mediazione, di informazione
giuridica agli immigrati, oltre a condizioni
igieniche e di vita scandalose, a regimi detentivi
considerati ai limiti del trattamento disumano
e degradante, questi “centri di accoglienza”
non vengono chiusi e sono ancora
considerati il mezzo migliore per rendere efficace
la disciplina delle espulsioni.
Amelia Rossi
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