17/11/2007
I colori della Cooperazione
L'Africa dimenticata
Recensione di Roberto De Romanis - Docente universitario Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Perugia.
"Il grande evento del Forum Sociale Mondiale di Nairobi svoltosi dal 20 al 25 gennaio 2007, di cui si è parlato pochissimo nel Nord del mondo, conferma ls tesi del titolo di questa pubblicazione - L'Africa Dimenticata - e le logiche e gli interessi dei grandi media mondiali". Con queste parole inizia la premessa al volumetto "L'Africa dimenticata", curato da Luigino Ciotti, presidente del Circolo "primomaggio", pubblicato quest'anno da CESVOL-EFFE.
Quando si pensa all’Africa, le immagini che vengono ancora utilizzate appartengono in genere a due categorie contrapposte: da una parte c’è quella romantica di una natura lussureggiante, grandiosa e primordiale, vivida di colori, attraversata da animali ma comunque disponibile e accogliente verso il turista che ci si voglia avventurare; dall’altra, c’è quella più drammatica di una povertà e di una sofferenza che non riescono a redimersi, di un disagio che ci appare senza scampo: ovvero, con lo scampo che può dare un barcone che, attraversando il Mediterraneo, giunge – quando giunge – sulle nostre coste portando anche da noi pezzi di un’umanità afflitta, destinata a essere trattata qui con tanta diffidenza, spesso anche con paura. Con il primo di questi due stereotipi abbiamo imparato a organizzare i nostri viaggi, i nostri safari; con l’altro, abbiamo invece informato gran parte del nostro dibattito politico e, duole dirlo, la nostra più recente legislazione in fatto di accoglienza e di inserimento sociale per quelle migliaia di migranti – non solo africani, in verità – costretti ogni giorno a fuggire dalle loro terre spesso insanguinate da guerre e da noi rifugiatisi per vie più o meno legali o ‘clandestine’. Invece, come ben sanno i lettori di questo giornale, tante altre cose ancora è l’Africa. A ricordarcelo, e a discuterne appassionatamente, ci sono ora i tre autorevoli interventi che il Circolo primomaggio di Bastia Umbra ha raccolto in un volumetto curato da Luigino Ciotti, presidente dello stesso circolo, e pubblicato da CESVOL-EFFE (L’Africa dimenticata, Perugia, 2007). Tre interventi che in realtà sono molto più di una discussione di esperti, essendo testimonianze lucide e partecipate di chi ha passato – e continua a passare – buona parte della propria vita in Africa, per mestiere o per vocazione. Giornalisti e missionari comboniani, i primi due: padre Giulio Albanese e padre Renato ‘Kizito’ Sesana; giornalista di origine congolese, e ora assessore del Comune di Roma, il terzo: Jean Léonard Touadi. Tutti e tre tracciano alcune importanti rotte nella storia e tra le complesse problematiche che agitano quel continente, e proprio il primo, Albanese, apre sottolineando una verità che troppo spesso tendiamo a dimenticare, dimenticando con ciò parte della nostra responsabilità di cittadini di questo nostro mondo: è l’informazione la prima forma di solidarietà. E ciò risulta particolarmente vero proprio per l’Africa, se ci pensiamo bene; o se pensiamo a quanta solidarietà occidentale verso il Terzo Mondo sia dettata più che altro dal timore dei problemi che da lì potrebbero caderci addosso, problemi di cui ignoriamo spesso la natura e che cerchiamo di tenere il più possibile lontani da noi.
Presentando il suo volume Soldatini di piombo (Feltrinelli, 2005) – e il suo intervento, infatti, è proprio la registrazione di questa sua presentazione, e del successivo dibattito, tenutisi a Bastia nel maggio del 2006 – Albanese ci parla dei conflitti che da anni si svolgono sul territorio africano per volontà delle potenze occidentali. Potenze che, come è noto, continuano a razziare senza pudore le materie prime e le fonti di energia che quel territorio offre tanto generosamente, utilizzando in queste guerre – al di là di ogni legge morale e contro lo spirito di qualsiasi religione – eserciti composti anche da bambini. Albanese ci ricorda pure che quanto in Africa accade è cosa che ci riguarda molto da vicino, talvolta ripercussione di quanto succede qui da noi: ne è prova l’analisi che egli fornisce dei cambiamenti nell’assetto degli equilibri e delle alleanze tra gli stati africani, e di questi con le potenze occidentali, all’indomani del crollo del muro di Berlino (per una discussione che anche Touadi, nel suo intervento, tornerà ad approfondire).
‘Kizito’ Sesana racconta invece la sua lunga esperienza tra le genti d’Africa, i primi progetti di intervento a favore dei bambini e delle bambine “di strada”, le tante iniziative che a questi hanno fatto seguito nei decenni da lui passati in Sudan, Zambia, in Kenya, o tra i Nuba; non senza ribadire, nel suo racconto, la necessità di interventi di aiuto che siano sempre fatti assieme agli africani, con grande attenzione alla trasparenza dell’intervento e alla dignità di chi ne beneficia – e da qui, inevitabilmente, una pesante denuncia contro l’operato delle tante gigantesche organizzazioni che negli ultimi decenni hanno fatto dell’aiuto umanitario un business fiorentissimo. E, a corredo dell’intervento di Kizito, Gianmarco Elia ricorda pure come sia importante e come sia diverso, ancor prima di donare denaro per qualche iniziativa umanitaria, andare verso l’Africa, cercare con l’Africa un contatto, un rapporto umano, un incontro che sappia fare la differenza.
Touadi, congolese residente da anni in Italia, apprezzato giornalista e opinionista, incentra la sua discussione soprattutto sul rapporto culturale che l’europeo ha in genere nei confronti dell’Africa, quindi sulla nostra percezione di un’Africa come terra (ancora) incognita, come continente senza storia, senza civiltà, senza diritto di appartenenza alla storia universale. Tante sono le informazioni e i dati che egli fornisce, tante le storie e gli aneddoti che egli racconta, ma ciò che nel suo intervento è forse l’aspetto più interessante e utilmente straniante è quel famoso sguardo dell’altro su di noi, che ci legge e che interroga la nostra storia e le nostre scelte politiche, un po’ come nella tradizione delle Lettere persiane. E allora, leggendo nelle parole di Touadi – ma anche negli altri due interventi, o nei dibattiti che ognuno di essi ha sollecitato e di cui questo volume porta memoria – la forte denuncia di come noi facciamo ancora finta di poter voltare le spalle di fronte a chi ogni giorno bussa alla nostra porta chiedendoci accoglienza e tolleranza, sembra proprio che questi tre secoli da quell’Illuminismo siano passati invano. E sì, perché altrimenti non staremmo ancora a dibattere sulle radici cristiane di questo nostro vecchio mondo; o, almeno, non staremmo così arroccati a difenderle con tanto intollerante ardore.
Roberto De Romanis
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