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dicono di noi
20/12/2006
Cesvol

Conversazione sul circolo culturale “primomaggio”
Le origini, le motivazioni e la storia del “circolo culturale primomaggio” ripercorsi attraverso le parole del presidente Luigino Ciotti

D: Quando e come è nato il “circolo primomaggio” e con quali obiettivi?

Il circolo culturale “primomaggio” nasce alla fine del 1991, cioè alla fine dell’esperienza di Democrazia Proletaria, con lo scopo di tenere insieme compagni che avevano militato nella stessa formazione politica e che non intendevano andare a casa ma che - anzi - al di là delle diverse collocazioni che si erano venute a creare con tale cambiamento, intendevano svolgere ancora un ruolo. Lo strumento di aggregazione di questa nuova fase fu identificato in uno spazio culturale, con la volontà di muoversi su quel terreno per cercare di cambiare le condizioni di vita dell’esistente.

In territori come il nostro, le sole questioni di natura economica non erano determinanti, c’era invece la necessità di un vero e proprio cambio di cultura. In zone in cui era ancora forte (pensiamo soprattutto ad Assisi) l’egemonia del pensiero cattolico e democristiano, democristiano più che cattolico, c’era la necessità di trovare mezzi culturali idonei a modificare la coscienza e la cultura della gente. Noi provenivamo da una forza politica che si rifaceva al mondo del lavoro, alle sue problematiche, al mondo operaio; e ci esprimevamo da molti anni attraverso un giornale locale che si chiamava ‘primomaggio’. Pensammo perciò di mantenere viva, anche per il futuro, quest’identità, chiamando questo nuovo circolo proprio ‘primomaggio’: un nome che indicava anche la collocazione di parte, ovvero dalla parte del mondo del lavoro e del cambiamento della società a misura dei lavoratori. Indicava sempre l’esigenza di acquisizione del potere da parte della classe operaia, ma con vedute più larghe, che facessero i conti anche con i limiti della cultura del movimento operaio, a volte economicista, di consumo del territorio e delle risorse, che spesso non capiva la valenza di alcune forme nuove del pensiero, della riflessione, della cultura, di nuove istanze giovanili che pure c’erano, di fermenti esistenti. Perciò noi, che comunque avevamo studiato e che vivevamo queste realtà culturali, ritenemmo che il circolo fosse lo strumento adatto per questo cambiamento.

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Siamo partiti subito con uno sguardo allargato, con una prima iniziativa di carattere internazionale, ovvero il progetto di cooperazione con il Nicaragua, un paese relativamente poco conosciuto ma per alcuni di noi molto importante, perché aveva costituito una speranza. Per noi la terza via era anche nel Sudamerica, dove c’era stata la presa del potere, nel 1979, dei Sandinisti, che si ponevano a cavallo tra capitalismo e mondo pianificato dell’est, cercando una soluzione nuova che coniugasse il marxismo con il cristianesimo. Un’esperienza con tutte le sue specificità (per esempio il fatto che alcuni religiosi diventarono ministri) che noi, che eravamo di Assisi e con il cristianesimo dovevamo fare i conti ma contemporaneamente eravamo marxisti, sentivamo particolarmente. Alcuni di noi avevano fatto dei campi di lavoro in Nicaragua, con l’associazione Italia-Nicaragua. Partendo da questa esperienza abbiamo portato un contributo, piccolo, ma che già ci proiettava fuori dalla nostra ristretta realtà, dimostrando capacità di analisi degli avvenimenti nuovi e di trasformazione sociale. Poi l’esperienza sandinista è regressa, Daniel Ortega, che allora era il leader, è diventato presidente più volte con molte, anzi troppe, contraddizioni.

D: È nata quindi insieme al circolo stesso questa prassi di aprire lo sguardo il più possibile e di interpretare il territorio a partire dal comprendere i grandi mutamenti che avvenivano nel mondo

Sicuramente. Già nei primi anni di vita abbiamo fatto alcune iniziative sull’America Latina, facendo venire ad Assisi e Bastia Umbra Gianni Minà e la figlia del Che Aleida Guevara, ma senza dimenticare il territorio. Infatti abbiamo sempre avuto un occhio di riguardo per il territorio con il quale volevamo fare i conti, non essere corpi estranei. Volevamo portare nel territorio sia le nostre idee, sia quello che succedeva nel mondo. D: Quindi non ignorando l’altro da sé ma anzi allargando lo sguardo verso l’esterno…

Avevamo ben presente la crisi del movimento operaio e delle forze di sinistra, che aveva portato in quegli anni allo scioglimento del PCI, ma soprattutto la notevole debolezza del movimento operaio sul nostro territorio, con scarsa sindacalizzazione in moltissime fabbriche, incluse le più grandi. Perciò in quegli anni abbiamo fatto sempre un grosso lavoro fuori dalle fabbriche, con alcuni lavoratori dei consigli di fabbrica: volevamo riuscire oggettivamente

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a modificare la realtà. Però dovevamo fare i conti con una cultura operaia ben lontana dalla sua espressione migliore: qui non avevamo i metalmeccanici di Torino, ma l’ex contadino entrato in fabbrica, che si portava dietro i limiti di un certo tipo di cultura che in qualche caso rischiava di essere addirittura reazionaria (basti pensare alle questioni sulla caccia, su alcuni diritti civili, sul rapporto con le donne, sull’ambiente). Qui la classe operaia non rappresentava la punta avanzata, ma caso mai l’esatto contrario.

D: Da prestissimo il circolo culturale “primomaggio” ha cominciato a guardare ai grandi personaggi della società e della politica italiana e mondiale, da Peppino Impastato a Vittorio Agnoletto, da Alex Zanotelli a Frei Betto, per citarne solo qualcuno

Il nome conosciuto ha indubbiamente un appeal in grado di garantire il successo dell’iniziativa. Ma il motivo fondamentale della presenza di questi grandi personaggi non era questo, anche se ci è stato utile, bensì la possibilità di uscire da iniziative minoritarie, di élite o legate a piccoli gruppi. Sentivamo la necessità di allargare l’interesse. D’altra parte dentro la storia di alcuni di questi personaggi c’era anche la nostra storia. Penso a Impastato, appunto. Noi venivamo da Democrazia Proletaria nelle cui liste Peppino Impastato era candidato quando fu ucciso, quindi lo sentivamo come uno di noi. Le difficoltà che ha vissuto Peppino Impastato in Sicilia, anche se in altre forme e non tali da raggiungere il sacrificio umano, le abbiamo vissute noi dalle nostre parti. Penso anche a cose elementari come la semplice diffusione de il manifesto nelle nostre piazze o la distribuzione dei volantini davanti alle fabbriche: nonostante i contenuti fossero affatto radicali e fortemente in linea con alcune istanze del movimento operaio, quello più avanzato dei metalmeccanici della FIOM, significava farsi etichettare per filo-terroristi. È quello che abbiamo vissuto sulla nostra pelle, quindi quelle storie erano anche le nostre, in qualche maniera, e andavano raccontate proprio per smuovere queste incrostazioni, questa incapacità di leggere la realtà, questa arretratezza culturale e politica delle nostre zone. Inoltre quei personaggi avevano grandi idee da comunicare come frutto della loro esperienza personale. Non contano le etichette, contano le esperienze di ciascuno: tant’è vero che spesso abbiamo portato personaggi non legati a forze politiche ma che, secondo noi, avevano

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molto da raccontare agli altri, in termini di esperienze. Personaggi in grado di accattivarsi il consenso, perché la gente si ritrova in queste esperienze difficili: penso per esempio a padre Zanotelli e a padre Kizito, missionari in condizioni estremamente complesse come nella baraccopoli di Korogocho o Kivuli a Nairobi in Kenya, con i bambini malati di Aids, con i bambini di strada. Oppure personaggi esautorati dai poteri politici o dai mezzi di comunicazione, come Gianni Minà, che è stato allontanato dalla Rai non dal centro-destra, ma dal centro-sinistra di Veltroni e di D’Alema. Insomma persone che, proprio per la loro specificità, per la particolarità della loro storia, sono in grado di offrire elementi che il pubblico cerca e non trova altrove e perché (soprattutto nei giovani, credo) non si è ancora persa la voglia di cambiare una società così profondamente ingiusta. Quindi vedere qualcuno che lo fa in prima persona e che paga un prezzo per queste scelte, come appunto hanno fatto i personaggi che ho citato insieme a tanti altri che abbiamo portato nel nostro territorio, era un elemento di grande valorizzazione e di grande interesse e infatti abbiamo fatto anche dei “pieni” notevoli con loro. Gianni Minà, la figlia del Che Aleida Guevara, padre Alex Zanotelli o Giuliana Sgrena: c’erano centinaia di persone ad ascoltarli, come anche per Frei Betto, finito nelle carceri brasiliane negli anni Ottanta per volontà della dittatura militare. Persone, insomma, che hanno pagato prezzi pesanti, ma che oggi costituiscono un punto di riferimento del pensiero ma soprattutto dell’azione.

D: Senza mai porre pregiudiziali ideologiche, né schematizzazioni politiche...

Assolutamente no. Anzi: noi che eravamo marxisti, in qualche caso atei e comunque persone non certo religiose o di pratica religiosa (perlomeno quelli che hanno costituito il gruppo promotore iniziale), in realtà abbiamo avuto grande attenzione a mondi e punti di vista diversi, perché per noi i mondi valgono per le cose che hanno fatto e che esprimono, non certo per origini ideologiche o per la loro collocazione. Anzi io, girando anche il mondo, ho trovato in molti religiosi splendide figure, persone che veramente offrono la loro vita per cercare di migliorare la condizione degli altri. Che è quello che io ritengo debba fare un comunista.

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D: I movimenti e il Forum Sociale…

È stata una bellissima sorpresa anche per noi, perché con le nostre iniziative abbiamo lavorato sotto la cenere per molti anni e talvolta, specialmente negli anni Novanta, sono state iniziative minoritarie e anche con un pubblico relativamente limitato. Ma poi ci siamo conquistati una credibilità anche con l’esplodere dei movimenti con i quali ci siamo intrecciati, perché vivevamo in perfetta sintonia e connubio. Eravamo dentro quel modo di pensare e di agire, abbiamo avuto la possibilità di allargarci come contatti, come rapporti e soprattutto come relazioni, abbiamo conquistato ancora più fiducia. Quando abbiamo costituito il circolo culturale ci rendevamo conto di essere un elemento di resistenza politica rispetto ai valori del mercato e quindi portatori di un’idea del mondo diverso da quello attuale. Con l’inizio del 2000, da Genova in poi in particolare, e con i Forum Sociali abbiamo capito che c’erano tanti altri circoli culturali “primomaggio” nel mondo, anche molto più grandi di noi, che facevano le stesse cose che facevamo noi e che volevano raggiungere gli stessi obiettivi. Ci siamo sentiti più forti e ci siamo scoperti anche in più. Lo stesso è accaduto alle persone che poi hanno iniziato a ruotare intorno alle nostre iniziative e che ci hanno permesso di allargare il nostro giro di orizzonte. Abbiamo cominciato da allora, in particolare, a organizzare iniziative fuori dal nostro comprensorio di Assisi e Bastia Umbra. Dopo il 2001 questi eventi sono aumentati in maniera consistente e abbiamo cominciato ad andare sempre più lontano: Terni, Spoleto, Perugia, Castiglion del Lago… Allontanandoci sempre più, pur rimanendo sempre all’interno dell’Umbria, fino ad arrivare all’esperienza del libro che ci ha portato anche a Roma, Modena, Frosinone, Napoli, ecc… Il nostro primo libro è arrivato nel 2006 ed è stato il materiale cartaceo più consistente dopo un piccolo depliant di riepilogo delle nostre iniziative. La povertà dei mezzi da noi prodotti deriva dalle nostre scarse capacità economiche, conseguenza della scelta dell’essersi sempre basati sull’autofinanziamento. La prima produzione cartacea dunque è stato (fanno chiaramente eccezione i normali manifesti relativi alle varie iniziative) un depliant pubblicitario realizzato alla fine del 2005. Poi, nel novembre 2006, abbiamo prodotto questo libro, una pubblicazione di grande prestigio per noi e per la nostra storia…

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D: …di diffusione nazionale…

Esatto. È stato distribuito nelle librerie nazionali, edito da “il manifesto”, con il titolo Ma che mondo è questo? Interviste sulle emergenze di fine millennio ed è stato realizzato grazie in particolare al lavoro di Roberto De Romanis e ai contatti che io avevo con tutte le persone intervistate. Le sedici persone intervistate rappresentavano il meglio o perlomeno alcune tra le voci più importanti che abbiamo portato nella nostra regione. Ma non è finita qua, perché è già pronta un’altra pubblicazione, L’Africa dimenticata (2007, ndr), dall’argomento più specifico, ma che dà il senso del nostro lavoro, ovvero il tentativo di far capire meglio un continente rispetto a stereotipi inaccettabili e a una carenza di informazione profonda riguardo ai grandi drammi e alle grandi ricchezze - non quelle economiche ma quelle sociali e culturali - dell’Africa.

D: Parlando di allargamento di prospettive, possiamo dire che in questi ultimi anni lo sguardo del circolo, oltre che in termini geografici, si è allargato anche in termini storici. Inoltre ha proposto una maggiore apertura al mondo della narrativa, della poesia e dello spettacolo

Sì, certo, perché alla definizione ‘circolo culturale’ non era seguita un’uguale prassi, cioè fare cultura a tutto tondo. Abbiamo capito che si possono usare molti strumenti per fare cultura e abbiamo cercato di utilizzare, mano a mano che aumentavano un po’ le forze e la nostra capacità di muoverci più a largo raggio, altri strumenti come la musica, i video, gli spettacoli teatrali, le mostre e così via.

L’idea è che la comunicazione passi attraverso le mille forme ed espressioni d’arte e quindi il tentativo, con i nostri limiti fortissimi, è di allargare un po’ il raggio d’azione degli strumenti che abbiamo usato.

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D: Dicevamo anche di una nuova attenzione al passato e alla grande storia: viene subito alla mente l’iniziativa dedicata alla presentazione di un volume su Ho Chi Minh…

Nel libro dei sindaci del comune di Perugia, sotto alle immagini dei sindaci, c’è una bella frase che dice che ‘chi non ha la memoria del proprio passato non può costruire il proprio futuro’. Io penso che questo sia vero. Quindi, poiché noi non siamo opportunisti né gente senza una storia - ma anzi siamo dentro la storia e la cultura del movimento operaio - non possiamo dimenticarlo solo perché gli interessi per il potere o un’analisi semplificata dell’oggi ci fanno ritenere che tutto quanto appartiene al passato sia superato. Riteniamo invece che si possano trarre importanti lezioni da esso, anche dagli accadimenti più particolari, come nel caso che hai citato di Ho Chi Minh. Non dobbiamo dimenticarci l’esperienza particolare del popolo vietnamita, che è stato capace di resistere agli americani che usarono contro di loro gli stessi metodi, gli stessi sistemi che oggi usano in altre zone del mondo, come per esempio l’Iraq. Anche da questo punto di vista il ricordarsi storicamente quanto avvenuto nel passato è una chiave di lettura per il presente e forse per agire politicamente nella maniera più giusta.

D: Alla grande storia avete spesso affiancato, però, nelle vostre iniziative la microstoria, quella storia che ha caratterizzato il territorio in cui operate. Penso allo spettacolo “Storie lunghe un fiume”

Noi abbiamo sempre coniugato le questioni nazionali e internazionali con quelle legate al territorio. Buona parte delle cose che abbiamo fatto sono presentazioni di libri di autori nazionali e internazionali, abbinate però al tentativo di valorizzare le esperienze, gli autori e gli artisti locali, in nome del nostro rapporto forte con il territorio. Ovviamente tutto il discorso sulla memoria storica vale anche per la nostra realtà. In questo contesto si inserisce l’iniziativa legata al fiume Tevere, che non è l’unica. Queste attività servono a far capire che c’è stato un passato in cui c’erano delle positività, penso all’ambiente sicuramente più sano e non degradato com’è oggi, a quello che significava un fiume quando ancora non era inquinato e rovinato nelle sponde, a un contesto in cui l’uomo aveva una funzione anche sociale e viveva grazie all’acqua del fiume, ai margini del fiume e grazie alle cose portate dal fiume, come per esempio la legna “catturata” dagli ‘uncinatori’ di Pretola e Ponte Valleceppi alla furia delle acque. In particolare questo brano di storia è raccontato da

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un video che abbiamo proiettato dal titolo “L’uncinaia e la sua storia”. Non a caso lo spettacolo che hai citato l’abbiamo allestito lungo il Chiascio, un fiume similare al Tevere nella sua funzione sociale e che in qualche maniera è un pezzo della storia di Bastia Umbra e di questa vallata.

D: Che direzione intende prendere il circolo culturale “primomaggio” per il futuro?

Ripensando alla storia del circolo, devo dire che abbiamo fatto veramente dei grandi passi sia nel moltiplicare le forme di espressione culturale che nel moltiplicare le iniziative. Se pensiamo a quell’unica iniziativa del 1991 e alle trentuno del 2006, direi che c’è una bella differenza. Abbiamo già programmato alcune iniziative per il 2007, per cui ritengo che si debba continuare in questa direzione scrivendo delle cose, facendo uscire periodicamente il nostro giornale, non mancando appuntamenti importanti con qualche grande autore. Abbiamo già una lunga lista di iniziative da fare, tant’è che mi vengono un po’ i brividi ai polsi! Perché temo di non riuscire a mettere in pratica tutte le iniziative che abbiamo già messo in programma.

Questo catalogo fissa la nostra memoria storica, ma è anche un auspicio per il futuro, perché porsi di fronte a una storia di questo tipo significa automaticamente pensare a un futuro ancora più ricco. È un impegno e uno stimolo contemporaneamente. Sicuramente per il futuro è previsto il potenziamento ulteriore del nostro sito, che oramai ci permette di parlare a tutto il mondo e, come abbiamo verificato in moltissime circostanze, di relazionarci con tante associazioni e tanti soggetti a livello mondiale, costruendo in qualche caso anche rapporti o iniziative fuori dal nostro territorio.

D: Magari anche moltiplicando le lingue in cui le pagine web sono pubblicate

Certo, il sito deve diventare di respiro internazionale, non può rimanere solo in italiano, che è il suo più evidente limite attuale. Del resto finora è cresciuto un po’ alla buona, con un po’ di impegno individuale, mentre ora va utilizzato in maniera più scientifica, spendendo più risorse e più energie per potenziarlo.

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D: Poiché un circolo è fatto di persone, credo sia giusto ricordare quelle che hanno creato e sviluppato il circolo culturale “primomaggio”…

Sicuramente quelle persone che sono nello statuto iniziale in cui compaiono cinque nomi oltre al mio: Giorgio Bolletta (di Santa Maria degli Angeli), Fabrizio Baroni (di Cannara), Angelo Arcangeli e Marcello Masci (di Bastia Umbra). Alcuni di essi ormai non giocano più nessun ruolo, purtroppo, per impegni di lavoro o altri motivi, ma rimangono comunque sempre legati alla storia del circolo. Nel frattempo, fortunatamente, sono arrivate energie nuove e questo è un aspetto importante: penso, per esempio, a Roberto de Romanis, a Iacopo Manna, ad Amelia Rossi, a Paolo Funaro, eccetera. Adesso ci sono anche dei ragazzi più giovani di Bastia, come Federico Lanzi, Giacomo Giulietti, Valeria Rosati e altri che garantiscono un senso di continuità al circolo. Nel corso degli anni hanno collaborato anche altri, come Gianni Bernacchia, Claudio Bianchini, Primo Tenca e adesso Sauro Sirà, sempre a Perugia. Nel tempo ci siamo allargati un po’ anche sul capoluogo, dove diverse persone fanno da riferimento. È un elemento in più e ovviamente ci auguriamo di far sì che questo avvenga anche in altre realtà dell’Umbria.
Intervista di Giulia Silvestrini

Bastia Umbra, 20 dicembre 2006


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Giulia Silvestrini