Siamo
alla fine di giugno. Qualcuno, nei piani alti (un quadro aziendale? Un
caporeparto? Il braccio destro del direttore Lachica?), si accorge che molto
più di un qualcosa non funziona come dovrebbe, ci sono meccanismi
organizzativi e commerciali che si stanno bloccando; il sospetto è che ci sia
un vero e proprio sabotaggio dall’alto, in particolare dalla direzione
europea (con fissa dimora in Spagna).
In
un primo momento, nonostante un volantino dai toni forti ed allarmistici fatto
circolare da un fantomatico “comitato di base”, c’è solo scetticismo e
il fastidio di trovarsi di fronte alla solita “sparata” di certuni, ben
individuati edal passato
(recente) poco trasparente.
E’
proprio la scarsa credibilità dei denuncianti che fa giudicare quantomeno
bizzarra la notizia di una imminente chiusura dello stabilimento di Cannara.
D’altronde, come pensare
diversamente, se è vero (come è stato poi confermato dalla stessa direzione
aziendale) che, nonostante la flessione del mercato della ceramica durante il
primo semestre 2003, questo sito produttivo sia riuscito a mantenere lo stesso
andamento positivo dell’anno precedente (un
fatturato di 71 milioni di Euro, con un utile operativo di 4,6 milioni di
Euro, nonostante una perdita annua di 3 milioni di Euro legata
all’acquisizione della Cerdec)?
Un
secondo volantino, sempre dello stesso organismo sindacale, dal titolo urlato “Stiamo
chiudendo !”, risveglia dal torpore i sindacalisti della Rsu e
quelli regionali della Fulc, costretti a chiedere alla direzione aziendale la
convocazione di un incontro immediato
“per avere chiarimenti rispetto all’episodio, capire le strategie
aziendali ed ottenere un impegno ad investire risorse e capitali
nell’immediato futuro, per allontanare definitivamente dubbi su ipotetiche
eventualità di chiusura dell’unità produttiva di Cannara”.
La
risposta della “Ferro Italia” non arriva. L’Azienda è reticente.
In
fabbrica, ora, c’è disorientamento, preoccupazione e nervosismo; nessuno è
più disposto a lavorare, senza garanzie; la produzione, praticamente, si
blocca; c’è una specie di “sciopero bianco” per almeno dieci giorni,
con capannelli e mini assemblee in tutti i reparti.
Un
clima surreale, in mezzo al silenzio assoluto ed imbarazzato del direttore, ing.
Lachica.
Dal
comportamento insolito ed estremamente permissivo della direzione aziendale,
si intuisce perfettamente che c’è qualcosa di marcio e che le procedure per
un prossimo smantellamento di questa fabbrica sono già state avviate.
Succede
il finimondo. I telefonini mobili non smettono di squillare; vengono allertate
le sedi centrali e periferiche sia dei sindacati che dei partiti di
riferimento; sono invitati ad intervenire anche i parlamentari eletti nei
collegi territoriali; i sindaci di Cannara e Bevagna hanno il loro carico di
lavoro, come massimi rappresentanti delle collettività più compromesse.
Si
pensa già ad una “unità di crisi”. Il bubbone è scoppiato. Sulla
vicenda si tuffano anche gli organi di informazione locale. E’ una macchina
micidiale, che mette in difficoltà la stessa multinazionale: viene così
“rovinata” l’immagine di un’Azienda che avrebbe sicuramente preferito
risolvere la questione, in maniera meno rumorosa, approfittando magari del
periodo estivo (e della usuale chiusura periodica dello stabilimento) per
inviare a casa di tutti i lavoratori le lettere di licenziamento.
Nella
logica padronale s’è inceppato qualcosa e, sicuramente, la “Ferro
Corporation” alla fine farà pagare ai liquidatori scelti, il prezzo di
questo “insopportabile disguido”.
Si
scaldano i motori delle rappresentanze istituzionali. Arrivano le prime
denunce ufficiali.
In
un’interrogazione al Consiglio Regionale dell’Umbria, presentata il 9
luglio, il capogruppo di Rifondazione Comunista, Stefano Vinti, chiede un
intervento che serva a salvaguardare i livelli di occupazione “messi
in pericolo da una eventuale chiusura dell’impianto che potrebbe
pregiudicare in modo rilevante, anche per l’indotto che sino ad oggi si è
creato, il tessuto economico di questo comune”. Nella
interrogazione, il consigliere puntualizza che i lavoratori sono attualmente
impegnati in una mobilitazione che ha portato a tre giornate di sciopero,
indetto dalla Rsu, per il 7, 8 e 9 luglio.
Secondo
Vinti, “Constatato
che la multinazionale americana Ferro Corporation è diventata proprietaria
dello stabilimento Isola di Cannara nel 1993…; constatato che La Ferro
Italia è stato il primo colorificio italiano ad avere conseguito la
certificazione della qualità ed è uno stabilimento fortemente
automatizzato…; constatato che lo stabilimento di Cannara rappresenta una
realtà occupazionale e produttiva di rilevanza centrale per il territorio, ma
anche per diversi comuni limitrofi; (…) considerato che tra i lavoratori è
diffusa e motivata la preoccupazione per lo smantellamento…e che questo
timore deriva dal comportamento e dalle scelte della direzione aziendale,
caratterizzate dall’assenza di investimenti per la ricerca e
l’ottimizzazione delle produzioni, dalla precarizzazione e scomparsa di
alcune figure professionali, dalla decisione di abbandonare la produzione di
prodotti competitivi sul mercato a beneficio di altri che riempiono i
magazzini, e inoltre dal fatto che il programma di produzione è garantito
fino al 18 luglio e non vi è alcun programma-ordini predisposto per la
ripresa dei lavori dopo le ferie di agosto; (…) considerato che, nonostante
la produzione dello stabilimento di Cannara abbia un costo del prodotto di £.60/Kg.
superiore ad altri siti produttivi a causa dei costi di trasporto, ha
compensato sempre con l’elevata qualità questo svantaggio rispetto ai costi
e che lo stabilimento di Cannara abbia, così, sempre avuto un risultato
economico ampiamente positivo; considerato che la direzione aziendale non ha
mai risposto alle sollecitazioni in merito a ipotesi di smantellamento,
delocalizzazione o riduzione delle produzioni…; Si interroga la Giunta
regionale per conoscere: quali iniziative intenda adottare nei confronti della
“Ferro” e (…) quali provvedimenti intenda attuare per salvaguardare i
livelli occupazionali messi in pericolo da una eventuale chiusura dello
stabilimento…”.
Il giorno stesso, a Roma
l’on. Giuseppe Giulietti presenta un’interrogazione parlamentare al
Ministro del Lavoro.
Il
deputato diessino, nella sua relazione, invita il governo ad “approfondire
la situazione aziendale della Ferro Italia di Cannara attraverso il proprio
ufficio regionale del lavoro” e a “verificare
l’opportunità di una urgente convocazione delle parti, anche in sede
regionale, per analizzare le prospettive dell’azienda, dei livelli
occupazionali e produttivi”.
Il
parlamentare ricorda anche che “l’attuale
situazione occupazionale, in un’area già pesantemente colpita nel settore
tessile, apre una nuova crisi nel comparto chimico, finora rimasto esente,
almeno nell’area di Cannara, da processi di dismissione industriale” e
che la “preoccupazione
muove dal fatto che nel confronto con l’azienda non si è andati oltre la
data del 25/8/2003 nel rappresentare le prospettive produttive. L’Azienda si
è genericamente impegnata a convocare una nuova riunione con le OO.SS. entro
la data del 25 agosto e a riprendere l’attività produttiva post
feriale…”.
Nel frattempo arrivano i
primi interventi ed attestati di solidarietà da parte dei sindaci di Cannara
(Roberto Barontini) e di Bevagna (Enrico
Bastioli).
“I
dirigenti americani avrebbero deciso di chiudere la filiale di Cannara e di
trasferire i suoi impegni in parte in provincia di Modena, in parte in
Portogallo? Non c’è nulla di ufficiale, ma certi segnali sono
inequivocabili” sottolinea
in un comunicato-stampa il sindaco di Cannara. “Fino
a poco tempo fa abbiamo intrattenuto buoni rapporti istituzionali con i
dirigenti della Ferro, in particolare con l’amministratore delegato Carlos
Lachica, un argentino americanizzato. Da qualche tempo, malgrado nostre
sollecitazioni e forti fermenti in fabbrica, non è possibile un confronto.
Non siamo disponibili ad abbassare la guardia e presto promuoveremo un
consiglio comunale aperto…”.
Ancor
più combattivo il sindaco di Bevagna che, oltre a solidarizzare con tutto il
personale che opera nell’azienda e ad incontrare i vertici della stessa per
riuscire a comprendere le difficoltà, in una nota sottolinea che “la
nostra giunta è coinvolta nella vicenda e non solo perché i disagi
riguardano anche i 18 dipendenti bevanati che sono impegnati in
quell’azienda. Siamo pronti a mettere in campo qualsiasi azione
nell’interesse dei lavoratori e di un’azienda che ha grosse potenzialità,
che tra l’altro registra utili cospicui e che ha ancora molto da dare. Siamo
pronti per qualsiasi iniziativa che dipendenti e amministratori intenderanno
mettere in campo per affrontare e risolvere il problema.”.
Mentre prosegue lo stato di
agitazione dei lavoratori, l’attenzione dei sindacati è rivolta
all’assemblea promossa per il 14
luglio. In quella occasione, alla quale sono state invitate le istituzioni
del comprensorio, quelle regionali e provinciali e i parlamentari umbri,
dovrebbe emergere un segnale forte per risolvere una situazione assai
complessa.
L’assemblea, come
facilmente prevedibile, si rivela una vera e propria kermesse elettorale.
Consistente e variegata la rappresentanza politica presente
all’appuntamento: dall’on.
Domenico Benedetti Valentini
(presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati), ai senatori Maurizio
Ronconi (Udc) e Pier Luigi
Castellani (Margherita), dal deputato Giuseppe
Giulietti (Ds) all’assessore regionale allo sviluppo Ada
Girolamini, fino ai consiglieri regionali Vannio
Brozzi (Ds), Fiammetta Modena
(Forza Italia) e Stefano Vinti (Prc).
Tante le buone parole spese per sostenere la causa dei lavoratori, altrettanti
gli applausi ricevuti a scena aperta. Il prossimo anno ci sono le elezioni,
amministrative (provinciali e comunali) ed europee. Non è vero? E allora, una
rincorsa a chi la spara più grossa…
Tutti promettono qualcosa,
ma alla fine (come si vedrà) nessuno si farà più vivo.
Chissà se ci
ricorderemo???
Si decide di passare alle due
ore giornaliere di sciopero (14-15-16 luglio) fino a che non si avranno
risposte certe sul futuro dei dipendenti.
“L’assemblea
dei lavoratori – si legge nel
comunicato firmato dalla Rsu e dalla Fulc provinciale – ha
analizzato e discusso la difficile situazione aziendale. Nonostante i ripetuti
solleciti fatti, l’azienda non ha dato finora risposte soddisfacenti e
chiare sul futuro dell’unità produttiva.”. Si teme uno
smantellamento o una drastica riduzione della produzione. Ipotesi – continua
il documento sindacale – “avvalorata
dal fatto che il programma di produzione è garantito fino al 18 luglio. (…)
Il timore è che l’azienda multinazionale americana abbia già deciso la
delocalizzazione in altra sede, nonostante lo stabilimento di Cannara abbia
sempre avuto un risultato economico ampiamente positivo. (…) I lavoratori si
riservano di intensificare le iniziative di lotta, qualora l’esito
dell’incontro con la direzione aziendale (fissato per il 16 luglio:
n.d.r.) non
dovesse fornire elementi chiari.”.
Il 15
luglio la vicenda del colorificio ceramico di Cannara approda sui tavoli
di Palazzo Madama.
Attraverso
un’interrogazione al Ministro
Antonio Marzano, il senatore Pier Luigi Castellani chiede di conoscere “quali
siano le vere intenzioni della Ferro Corporation in ordine all’azienda di
Cannara e se, come appare assolutamente necessario, il Ministro abbia
intenzione di promuovere un incontro tra i responsabili della multinazionale,
le istituzioni locali e regionali e i sindacati al fine di definire con
assoluta chiarezza, non solo la permanenza dell’azienda di Cannara, ma anche
l’eventuale sviluppo futuro, tenuto conto della produttività e della
validità dell’azienda e dell’impegno che le istituzioni locali hanno
profuso per individuare un sito, quale quello di Cannara, ove l’attività
risulta assolutamente compatibile.”
Lo stesso giorno si svolge
un incontro a Perugia (Palazzo
Cesaroni, sede regionale dell’Umbria) tra i capigruppo del
centrosinistra e le rappresentanze sindacali aziendali. Da qui, la decisione
di promuovere l’apertura di un tavolo di trattativa, con i dirigenti della
società americana, presso il Ministero delle Attività Produttive.
Contemporaneamente, si costituirà un altro tavolo regionale con tutte le
associazioni di categoria.
Nell’incontro di Perugia,
i consiglieri regionali Paolo
Baiardini (Ds), Stefano Vinti
(Rifondazione), Giampiero Bocci
(Margherita) e Marco Fasolo (Sdi)
si impegnano a sottoscrivere una mozione comune della maggioranza da
presentare al Consiglio e chiedono alla Giunta regionale un interessamento
urgente. Della questione si parla poco dopo nell’aula consiliare e
l’assessore Ada Girolamini,
rispondendo all’interrogazione presentata da Vannio
Brozzi, dice di “non
capire le strategie del Gruppo aziendale” e assicura “pressioni
che facciano comprendere l’assurdità della situazione”.
Nel frattempo, anche l’on.
Benedetti Valentini (An) sottopone
al Ministro Marzano la “necessità
di un’azione incisiva e unitaria fra tutte le istituzioni e i sindacati”.
Della situazione è adesso
al corrente anche il segretario generale della Cgil, Guglielmo
Epifani, il quale incontratosi con alcuni sindacalisti, assume l’impegno
di portare l’argomento al tavolo negoziale nazionale.
“Perché
la multinazionale Ferro, che ha sede a Cleveland, negli Stati Uniti, avrebbe
preso la decisione di chiudere una fabbrica come quella di Cannara, che è
un’azienda modello, che ha ottenuto le certificazioni per la qualità e la
sicurezza, che pur essendo una fabbrica chimica, non è mai stata nel mirino
degli ambientalisti e in cui da un anno non si verificano incidenti?”. E’
il cruccio dei sindaci di Cannara (Barontini),
Bevagna (Bastioli), Foligno (Salari)
e Spello (Rosignoli), riuniti in
assemblea nei locali della fabbrica, il 16
luglio. “I
lavoratori della Ferro (96 dipendenti diretti, 12 lavoratori interinali, e una
quarantina coinvolti nell’indotto – manutenzione, manovrazione
merci, pulizie, servizi generali, mensa e autotrasporti -) hanno
lanciato l’Sos perché Regione e Governo si impegnino a portare la
multinazionale al tavolo della trattativa. Loro, i lavoratori –
dichiarano all’unisono i sindaci del comprensorio – sono
davvero a terra. Sette mesi fa, a Natale, l’azienda aveva festeggiato un
anno record e aveva invitato alcuni di loro a lasciare il posto fisso,
acquistare un camion e mettersi in proprio come autotrasportatore. La Ferro
avrebbe garantito lavoro. Perché adesso sarebbe scattato il ‘tutti a
casa’?”.
Il 18
luglio, alle ore 17, presso il Teatro
comunale di Cannara viene convocato un Consiglio
comunale “aperto”. Tra i
partecipanti, oltre naturalmente ai sindacalisti e agli amministratori locali,
si nota la presenza di numerosi politici (dall’”Ulivo” alla “Casa
delle Libertà”, a Rifondazione Comunista); pochi i lavoratori interessati,
praticamente assente la cittadinanza.
E’ la solita
“passerella”, con tante chiacchiere e poca sostanza. Non è mancato
neanche il classico colpo di scena, con la comparsa di alcune lettere anonime,
minacce e pesanti accuse ai rappresentanti della Fulc regionale, i quali hanno
subito provveduto a sporgere denuncia per diffamazione alle autorità
competenti. (Sembra che l’autore delle missive sia proprio da ricercare
nella complicata e controversa struttura sindacale confederale).
Intanto, qualche ora prima,
nella mattinata, il “circolo
culturale primomaggio” aveva distribuito un documento politico,
denunciando “un
altro chiaro esempio di globalizzazione capitalista” e “…l’amara
consapevolezza dell’assenza di strumenti legislativi e sindacali in grado di
poter vincere una battaglia in altri tempi scontata” per concludere
dicendo che, come altrove (la “Good Year” di Latina, ad esempio), anche a
Cannara “il
pensiero unico dominante, il neoliberismo imperante tritura tante ‘vittime
innocenti’ tra i lavoratori, in nome dell’unico valore esistente, quello
del profitto e del ‘dio denaro’. Insomma: nessuno illuda i
lavoratori, troppo deboli e indifesi rispetto allo “strapotere
delle multinazionali”.
“Chi
potrà mai fermare le multinazionali –
conclude il comunicato del ‘circolo culturale’ – se
non una forte opposizione sociale e politica (che oggi, purtroppo, non c’è)???”.
La quarta settimana di
luglio, quella che avrebbe dovuto portare al termine dell’attività
produttiva e all’inizio del consueto periodo estivo di ferie, è decisamente
la più dura. Sono ore cruciali. Le voci insistenti sulle reali intenzioni
della multinazionale americana di non riprendere i lavori alla fine del mese
di agosto e di chiudere definitivamente gli impianti, non trovano nessuna
smentita o chiarimento da parte dei dirigenti aziendali.
All’interno della
fabbrica aumenta il nervosismo, si intensificano le assemblee e gli incontri
(più o meno informali) tra rappresentanti e rappresentati; in attesa
dell’esito della riunione programmata per il 24
luglio presso il Ministero delle Attività Produttive a Roma, i lavoratori
scendono di nuovo in sciopero (due
giornate, il 23 e il 24, con assemblea permanente).
“Una
decisione inevitabile – avvertono
i sindacalisti – di
fronte all’assoluto silenzio da parte dell’azienda. Atteggiamento
aggravato dal fatto che si è iniziato con ritmo inusuale ad incrementare le
spedizioni, e sono venuti meno gli ordini per garantire la regolare
manutenzione del periodo feriale. (…) Qualora dall’incontro del 24 presso
il Ministero non dovessero arrivare risposte convincenti sul futuro dello
stabilimento, i lavoratori daranno il via da subito ad una forma di protesta
più estrema e cioè l’occupazione della fabbrica…”.
E’ evidente
l’intenzione da parte dei lavoratori di bloccare ogni spedizione, di non
consentire che vengano trasportate fuori dalla fabbrica tutte le merci e le
materie prime che vi si trovano.
Si avvicina sempre più il
rischio di trovarsi senza lavoro nell’arco di brevissimo tempo.
Giovedì
24 luglio: il giorno più atteso, quello
dell’incontro romano tra le Parti.
Alla riunione, coordinata
da un alto funzionario del dicastero (il Dr.
Rura), partecipano ben cinque dirigenti della “Ferro”, guidati dal
responsabile per l’Italia, Dr.
Daniele Bandiera, i segretari nazionali di categoria, i rappresentanti
regionali della Fulc, la Rsu aziendale, i parlamentari Pier Luigi Castellani,
Giuseppe Giulietti e Domenico Benedetti Valentini, l’assessore regionale Ada
Girolamini e i sindaci di Cannara e di Bevagna.
In
tale contesto, viene formalizzata l’intenzione, da parte della holding
statunitense, di chiudere il sito cannarese, confermando
così la fondatezza di tutte le perplessità e preoccupazioni che avevano
indotto i dipendenti a mobilitarsi. L’amministratore delegato della “Ferro
Italia” “riconosce
che lo stabilimento cannarese può vantare un’indubbia efficienza e standard
molto alti di qualità, produttività e capacità lavorativa. (…) Ma le
strategie di una multinazionale guardano anche altri fattori. La decisione di
chiudere questa fabbrica rientra in un processo di riorganizzazione
dell’intero gruppo e della necessità di portare la produzione più vicina
al mercato, dirottando quindi sugli stabilimenti spagnoli e nell’hinterland
sassuolese…”. Ciononostante, “la
Ferro Italia si dichiara disponibile ad avviare una trattativa per arrivare ad
una soluzione di reciproca soddisfazione”. L’incontro viene
aggiornato a mercoledì 30 luglio, alle ore 9,30, sempre presso il Ministero
delle Attività Produttive, per affrontare nel merito e più dettagliatamente
il problema.
Ora è ufficiale. La
multinazionale americana avvierà nei prossimi mesi lo smantellamento
dell’opificio e, conseguentemente, le procedure di licenziamento per tutti i
lavoratori. Le parole del Dr. Bandiera, pesanti come macigni, sono tutte
incluse dentro una logica neoliberista che non si
accontenta più di ricavare profitti,
ma di produrre altrove (ad esempio in Portogallo e in Spagna) per
guadagnare di più e per rispondere così alle pressioni e all’ingordigia
degli investitori.
E questo è il segnale
preciso della famigerata globalizzazione
in corso.
La mattina del 25
luglio, viene indetta un’assemblea che, ovviamente, conferma lo stato di
agitazione, con sciopero e presidio ad oltranza degli impianti.
Nel frattempo, tanto per
non smentire il detto popolare che “la mamma del bischero l’è sempre
incinta”, in fabbrica si riesumano le armi della vendetta e della
denigrazione verso alcuni lavoratori. Riemergono vecchi rancori mai sopiti e
il semplice episodio di un “trasferimento in altra sede di una figura
professionale” accolto, seppur con riserva, dal diretto interessato (Furio
Cameli, responsabile del controllo qualità e coordinatore del laboratorio),
viene artatamente ingigantito e stigmatizzato da un comunicato-stampa
delirante, congiuntamente emesso dalla Fulc regionale e dalla Rsu.
“Le
OO.SS…, riscontrano l’ennesimo segnale che conferma la strategia
dell’azienda, ossia quella di dismettere lo stabilimento di Cannara.
Infatti, nella giornata di ieri (n.d.r.:
il 26 luglio)
siamo venuti a conoscenza, per sua stessa ammissione, dello spostamento presso
lo stabilimento Ferro in provincia di Modena di una figura di determinante
importanza, il responsabile del controllo qualità della ceramica e
coordinatore delle procedure della certificazione della qualità. (…)
Arrivano da più parti personaggi prodighi di buoni consigli che vorrebbero
indottrinarci e indicarci le migliori strategie per cercare di limitare i
danni. I lavoratori sentitamente ringraziano, ma restano convinti che
l’unica strategia utile per il mantenimento della unità produttiva sul
territorio sia quella da loro intrapresa, che si interromperà solo nel caso
in cui l’azienda accettasse una trattativa sindacale degna di tale nome,
garantendo allo stesso tempo la continuità produttiva dello stabilimento di
Cannara. Pertanto i lavoratori informano tutti coloro che vorrebbero farli
recedere dalle proprie decisioni che la strategia ce l’hanno ben chiara, a
differenza di altri che predicano bene e razzolano male. I lavoratori non
stanno facendo nessun tipo di teatro e rispediscono al mittente tutti quei
tentativi, peraltro meschini, che tendono a gettare discredito su tutti i
soggetti che si stanno impegnando seriamente per il buon esito della vertenza.
La Fulc, inoltre, riafferma tutto il proprio impegno e si dichiara non più
disponibile ad accettare illazioni e chiacchiericci che di certo non giovano a
nessuno, tanto meno a chi li mette in atto.”
Non si capisce il perché
di tanta volgarità, come non si riuscirà mai ad individuare “quei
fantomatici” destinatari dell’inquietante messaggio. L’uso del plurale
è palesemente improprio, ma tutti gli strumenti sono validi per fare “terra
bruciata” intorno a chi vuole mantenere il pallino in mano, senza essere
disturbati.
Più di una cosa verrebbe
voglia di lanciare a questi signori sindacalisti, mestieranti incarogniti da
compromessi al ribasso che, parlando sempre e rigorosamente a nome dei
lavoratori, spalmano sterco a volontà su chiunque provi a criticarli. In
tutta la vicenda (ora lo si può dire, “a conti fatti”), non c’è stata
cosa più vergognosa del comportamento di questi “tromboni dal silenziatore
facile”, tanto aizzatori nelle pubbliche assemblee quanto servili e “più
realisti del re” in fase di trattativa.
“E’
un vero delitto industriale”. Sulla
vicenda di Cannara, la cui vertenza ha varcato i confini regionali, c’è
intanto l’impegno dei consiglieri regionali Vinti e Laffranco che “invitano
le istituzioni ad intraprendere soluzioni per evitare la chiusura della più
grossa azienda del territorio di Cannara”. Pronta la replica
dell’esecutivo regionale. “Percorrere
tutte le soluzioni per evitare lo smantellamento della Ferro Italia di Cannara”.
E’ l’indicazione emersa a conclusione del vertice
del 28 luglio al quale oltre
alla Presidente Rita Lorenzetti hanno partecipato i sindaci di Cannara e di
Bevagna.
Mercoledì 30
luglio. Si ritorna da Roma con le pigne nel sacco.
La patata bollente
riguardante il futuro dello stabilimento cannarese viene rilanciata su un
tavolo di confronto da aprire presso l’Assindustria di Perugia.
Il Ministero ha chiesto (ed
ottenuto) alla Ferro di “non
inviare le comunicazioni di chiusura del sito produttivo di Cannara e di
mantenere inalterato lo status attuale, con la riapertura dello stabilimento
il 25 agosto prossimo” e ai sindacati di “sospendere
le agitazioni in corso e di riprendere le attività lavorative regolarmente,
dopo la pausa delle ferie”.
Critiche dal capogruppo
regionale di Rifondazione Comunista, Stefano Vinti, che parla “dell’ennesima
rapina del territorio da parte delle multinazionali” e si augura che
“i
tavoli di confronto regionali non siano solo una mossa dilatoria per rinviare
le lettere di licenziamento, ma l’occasione per definire un nuovo e
qualificato progetto industriale”.
Ancora una volta i
lavoratori, riunitisi in assemblea il 31
luglio, praticamente
all’unanimità sottoscrivono l’accordo emerso nell’incontro del giorno
precedente, presso il Ministero delle Attività Produttive.
Lunedì 25
agosto. Il tempo di ritornare in fabbrica, dopo circa un mese di ferie,
per riannodare i fili di un discorso interrotto ma lontano da ipotesi
risolutive.
Nella riunione fissata per
il pomeriggio, presso la sede dell’Associazione Industriali, la holding Usa
ribadisce la “imprescindibile
decisione di chiudere definitivamente lo stabilimento” dicendosi
disposta a trattare su “ipotesi
di ricollocazione dei lavoratori, spostamento di alcune professionalità ed
attivazione degli ammortizzatori sociali di legge”.
Tutti sembrano aver
finalmente capito che l’ipotesi di chiusura non era una minaccia, ma una
decisione che la “Ferro Corporation” aveva maturato sin dai tempi
dell’acquisizione della Degussa.
Intanto, la irremovibile
posizione assunta dalla multinazionale viene pesantemente respinta
dall’assemblea dei lavoratori (del 26
agosto); si delegano le strutture sindacali a continuare la trattativa
seguendo alcuni precisi criteri, e cioè:
“1)
la Ferro Italia deve garantire l’attività produttiva fino alla fine del
2003, tempo necessario per ricostruire
soluzioni alternative per la rioccupazione di tutti i lavoratori;
2)
la Ferro Italia deve mettere a disposizione lo stabilimento per tutte
le eventuali soluzioni alternative, comprese quelle di tipo concorrenziale;
3)
la Ferro Italia deve mettere a disposizione lo stabilimento a valori
convenienti e comunque deve essere dato a garanzia delle istituzioni per
evitare eventuali speculazioni;
4)
attivazione di un tavolo istituzionale per la ricerca di soluzioni
alternative imprenditoriali tra: i comuni di Cannara e Bevagna, Regione
dell’Umbria, Associazione industriale di Perugia e organizzazioni sindacali;
5)
eventuale ricorso agli ammortizzatori sociali per la gestione e
ricollocazione di tutto il personale oggi attualmente in forza alla Ferro
Italia stabilimento di Cannara.”
Il richiamo forte ed
insistente al tavolo istituzionale è indubbiamente un invito alle forze
politiche locali e nazionali ad intervenire. Queste, come avevano più volte
promesso durante il mese di luglio, avrebbero dovuto svolgere un ruolo
importante, ma la verità è che, tranne Vinti (di Rifondazione Comunista),
che almeno si è fatto vivo con un intervento pur discutibile, gli altri se la
sono svignata in fretta e furia senza lasciare traccia. Anche questo, tutto
ampiamente prevedibile.
Siamo ormai alle battute
finali; le posizioni delle parti, solo formalmente lontane tra loro, sono ben
definite, ma si cerca di trovare un’intesa, per lasciare meno cadaveri
possibili sul campo di battaglia. Dopo un paio di
giornate assai movimentate, in cui non sono mancati momenti di estrema
tensione tra i lavoratori e segnali di puro isterismo da parte di qualche
personaggio, si decide di ritornare ad incontrarsi intorno ad un tavolo.
Vengono fissate, per martedì
2 settembre, due riunioni.
La prima (praticamente un
“tavolo politico”), nella sede regionale di Perugia, che analizzerà
quanto emerso in questa ultima settimana per trovare una via d’uscita che
non penalizzi le legittime aspettative dei lavoratori.
La seconda, presso
l’Associazione degli Industriali, dove la contrattazione naturalmente
assumerà un carattere più sindacale.
L’incontro di Palazzo
Donini (sede della Giunta Regionale) – al quale partecipano la
Presidente Maria Rita Lorenzetti, l’assessore alle attività produttive Ada
Girolamini, i sindaci dei comuni di Cannara e Bevagna, i direttori di
Sviluppumbria e dell’Associazione Industriali di Perugia, i rappresentanti
dell’azienda, delle organizzazioni sindacali e dei lavoratori – presenta
un “verbale di riunione”, in cui si parla di “un
percorso per la salvaguardia dei posti di lavoro, nell’interesse prioritario
dello sviluppo economico e dei livelli occupazionali”, prende atto
che “non
appare percorribile la continuità aziendale” e unanimemente viene
ritenuta prioritaria “la
ricerca di alternative imprenditoriali che operino nel settore e con
tecnologie compatibili”. In ogni caso, la Ferro si “impegna
a mettere a disposizione gli assets immobiliari a condizioni fortemente
agevolate (4 milioni di euro: n.d.r.) per
favorire l’insediamento di iniziative imprenditoriali che, in via
preferenziale, favoriscano la rioccupazione dei lavoratori della Ferro
Italia”. Nel documento si dice anche che “l’Associazione
Industriali si impegna alla ricollocazione nelle imprese del territorio
circostante degli eventuali ulteriori esuberi”, mentre la regione si
impegna “a
mettere a disposizione le proprie strutture (Sviluppumbria e Gepafin) nella
ricerca di iniziative sostitutive e per il sostegno finanziario delle stesse;
(…) a dare priorità nella strumentazione incentivante (programmazione
negoziata) alle iniziative che creeranno occupazione, a partire dalla
ricollocazione dei lavoratori della Ferro Italia”. E poi ancora, i
convenuti all’incontro si salutano auspicando che “il
percorso indicato contribuisca ad eliminare pregiudiziali e rigidità,
affidando all’accordo tra le parti la definizione di termini, tempi e
modalità…”.
Belle parole, grandi
promesse, pacche cordiali sulle spalle tra vecchi e nuovi fautori del
liberismo.
In attesa di mettere nero
su bianco sui tavoli dell’Assoindustria (l’incontro finale viene
riaggiornato al 4 settembre), in fabbrica cominciano a serpeggiare i segnali
profondi di una spaccatura e, nel corso dell’assemblea del 3
settembre, caratterizzata dai toni a tratti aspri e amplificati, i
lavoratori decidono di bocciare l’ipotesi della cassa integrazione e degli
eventuali incentivi di esodo.
Ipotesi, quest’ultima,
che era emersa a conclusione del “faccia a faccia” di martedì pomeriggio
(all’associazione degli industriali) e che in pratica aveva ribaltato quanto
precedentemente concordato poche ore prima, nel confronto a Palazzo Donini, al
termine del quale la decisione meno indolore sembrava essere quella di
favorire l’insediamento immediato (o in un tempo ragionevolmente breve) di
altre iniziative imprenditoriali, incluse quelle concorrenziali alla
“Ferro”.
Sono ore di angoscia,
decisive, ma i piedi degli operai sembrano proprio franare in un burrone.
Molto fumo e niente
arrosto, si può dire. Due mesi di aspettative e di grandi illusioni bruciati
nel volgere di qualche ora.
Infatti, non rappresenta un
sicuro punto di appoggio quanto sottoscritto finora. Promesse, impegni e tutto
ciò che rientra nella normale dialettica della politica, ma di certezza
soltanto la chiusura dello stabilimento e il conseguente disimpegno da parte
della multinazionale americana.
Ci troviamo forse davanti
all’ennesima “bufala”, perché come hanno fatto notare in molti: “se
è vero che esiste una concreta possibilità di acquisto dello stabilimento da
parte di soggetti disposti a garantire la continuità produttiva e che questa
possibilità può essere verificata in un periodo di tempo non estremamente
lungo, perché non si è perseguita con forza la strada della continuità
lavorativa fino alla fine dell’anno?”. Un interrogativo destinato
a rimanere senza risposta.
Giovedì 4
settembre. Ultimo round. Cinque ore per sancire la conclusione della lunga
trattativa che ha visto di fronte, nei mesi estivi, i lavoratori e i dirigenti
italiani della “Ferro Corporation”.
In quattro pagine si mette
la firma sul decreto di chiusura del colorificio ceramico di Cannara.
Si uccide così una
fabbrica in salute; un ulteriore cadavere sulla strada del neoliberismo.
Sentite cosa dichiara alla
stampa locale, l’amministratore delegato Daniele Bandiera, all’indomani
della firma sull’accordo! “Si
è sempre parlato solo di fatturato, che è positivo, invece bisognerebbe
parlare di costi e di efficienza produttiva. Purtroppo a Cannara non erano più
sufficienti ad affrontare l’attuale situazione del mercato. (…) La
produzione di piastrelle ceramiche già da qualche anno registra una
contrazione, essendo attaccata dalla concorrenza della Spagna e della Turchia
e ora sta arrivando la Cina in modo molto prepotente”.
Concorrenza stracciante,
quindi? “Con
lo stabilimento di Cannara – prosegue il Dr. Bandiera – abbiamo
lavorato a pieno regime per tentare di vedere se riuscivamo ad arrivare a
costi concorrenziali almeno con la Spagna. Purtroppo così non è stato e dopo
due anni dall’acquisizione dello stabilimento della Cerdec a Sassuolo
abbiamo sentito la necessità di concentrare qui tutta la Ferro Italia,
tenendo presente il criterio del minor costo della produzione. (…) Confermo
che il sito di Cannara era efficiente e produttivo ma con costi che attraverso
studi di mercato apparivano troppo elevati per fronteggiare la competitività
di mercato”.
Avete capito bene? Davvero
illuminante. E’ un concentrato di capitalismo selvaggio che prevede anche la
chiusura di una fabbrica efficiente e produttiva (con utili notevoli, come nel
nostro caso), quando c’è la possibilità di commercializzare gli stessi
materiali – provenienti da paesi in via di sviluppo – guadagnando molto di
più.
E’ il magico e fantastico
mercato, bellezza!!!
Chissà se l’avranno
capito anche i signori sindacalisti e gli illustri politicanti d’ogni risma?
Le reazioni del giorno dopo
confermano l’assoluta subalternità delle OO.SS. alla cultura dominante,
quella del neoliberismo. In un comunicato-stampa del 5
settembre, la Fulc dà un giudizio sostanzialmente positivo all’accordo
siglato (quello che è stato sintetizzato nella parte iniziale di questo
“dossier”) ed “esprime
la propria soddisfazione per il primo esito della trattativa, che ha
consentito attraverso il coinvolgimento di tanti soggetti di costruire un
percorso condiviso, che ha come obiettivo quello di non far pagare solo ai
lavoratori il prezzo di una decisione da loro non voluta. (…) Crediamo di
poter affermare che il confronto che si è sviluppato in questi mesi, seppur
difficile e non privo di momenti di tensione, sia stato non solo utile ma
necessario.”.
Non manca, come al solito,
la frecciatina verso chi nei giorni scorsi ha parlato di rioccupazione della
fabbrica. “Se
avessimo ascoltato – concludono i sindacalisti – i
consigli di chi aveva come unico scopo quello di alzare le barricate, senza
confrontarsi con i lavoratori in maniera diretta, sicuramente non avremmo
tutelato gli interessi di coloro che rappresentiamo…”.
Guai a criticare i signori
del Sindacato!!!
Sconcertanti, al limite
della spudoratezza, le affermazioni rilasciate alla stampa locale da anonimi
sindacalisti: “I
posti di lavoro non erano garantiti ieri, né possiamo conoscere se saranno
garantiti domani” (da
“La Nazione” del 5/9/2003).
Infine, da registrare la
“coda velenosa” che sempre accompagna un evento triste, come la
dismissione di una attività lavorativa e l’espulsione dal ciclo produttivo
di decine e decine di persone. Lo scontro (durissimo) tra il capogruppo
regionale del Prc (Vinti) e i rappresentanti della Fulc provinciale, è degno
di essere integralmente trascritto su queste pagine.
Dal “Corriere
dell’Umbria” del 10 settembre 2003: L’intervento.
“Ferro
Italia”: Non un accordo ma una resa sulla pelle dei lavoratori.
L’accordo
che sancisce la chiusura definitiva della Ferro di Cannara è una grave
sconfitta dei lavoratori, il territorio e le istituzioni locali. L’arroganza
e la politica piratesca della multinazionale hanno avuto ragione sulla totale
incapacità dei sindacati e della Regione dell’Umbria di costruire una
vertenza regionale e nazionale in grado di salvaguardare i diritti dei
lavoratori, la storia e la ricchezza produttiva dell’impianto di Cannara.
Alle
ragioni della multinazionale e del profitto chi poteva non ha voluto sostenere
le ragioni e i diritti del lavoro e dell’Umbria. I proclami roboanti di
difesa dell’esistenza della Ferro, della continuità produttiva, della
salvaguardia dei livelli occupazionali si sono sciolti come un cubetto di
ghiaccio esposto alla calura di questa estate. Tutti ora possono giudicare
quanto insignificanti e opportuniste siano state le prese di posizione dei
sindacati, delle forze politiche dell’Ulivo e della Casa della libertà, dei
parlamentari umbri. Basterebbe solo andarle a rileggere.
La
multinazionale Ferro ha raggiunto tutti gli obiettivi che si era prefissata, e
c’è da ritenere che si sia essa stessa stupita dei tempi brevi con cui ci
è riuscita, anche grazie alla sponda politica ricevuta al tavolo nazionale
dal governo Berlusconi. Una facilità che lascia più di qualche dubbio sulla
volontà di qualcuno di opporsi a questo “delitto industriale”. La Ferro
incassa gli utili miliardari del 2002, regala misere briciole ai lavoratori,
procede nella ristrutturazione.
L’Umbria
vede evaporare uno dei suoi gioielli produttivi, disperdere un patrimonio
tecnico e di competenze elevate, buttare al macero investimenti pubblici. Il
messaggio che viene da questa deprimente vicenda è che le multinazionali
possono transitare in Umbria senza nessuna responsabilizzazione nei confronti
della comunità, utilizzando il territorio e le istituzioni a piacimento,
piegando le ragioni e i diritti dei lavoratori ai loro fini e interessi di
parte.
Se
ce ne fosse stato ancora bisogno, la vicenda della Ferro ha dimostrato una
volta di più che la politica della “concertazione”, che un sindacato
aconflittuale che sposa le ragioni del mercato, una Regione senza un’idea di
politiche industriali sottopongono il territorio alle scorribande di soggetti
imprenditoriali, impoveriscono il lavoro e abbassano i livelli occupazionali.
Il
consenso “estorto” all’assemblea dei lavoratori della Ferro
sull’accordo sindacale indica il voto di chi non è stato posto di fronte ad
una sola possibilità: o accettare la cassa integrazione o essere licenziato.
E’
stato imposto da chi è stato d’accordo (da sempre?) con la chiusura dello
stabilimento.
Il
posto di lavoro si difende con la lotta e con la difesa del sistema produttivo
regionale. Rifondazione si impegna a verificare che le misere tutele concesse
ai lavoratori nell’accordo-resa siano rispettate.
Stefano
Vinti
(Presidente
Gruppo Regionale PRC)
Dal “Corriere
dell’Umbria” del 13 Settembre 2003:
Dura
replica dei sindacati al Prc. “Parlare di consenso estorto ai dipendenti è
vergognoso”
Ferro:
”I lavoratori hanno disgusto della propaganda”
Non
è neanche degno di commento quanto asserito dal presidente del gruppo
regionale Prc, Stefano Vinti, sulla chiusura della trattativa con la Ferro
Italia.
Mi
sembra alquanto meschino denigrare il lavoro degli altri senza conoscere le
situazioni vissute e senza essersi mai rapportati direttamente con
chicchessia. Non si può sparare a zero contro tutto e tutti dopo aver
latitato durante il corso dell’intera vicenda.
Se
Vinti, che tra l’altro viene lautamente retribuito con i soldi dei
contribuenti, ritiene di avere armi e soluzioni per affrontare le
problematiche del mondo del lavoro, scenda in campo. Ma lo faccia in maniera
propositiva e costruttiva, non solo criticando e cercando di buttare tutto
allo sfascio”.
Francesca
Rossi
(Segretario
Regionale della Femca Cisl)
Anche
se rispetto le opinioni di ognuno, non posso accettare che si faccia della
propaganda su una situazione come questa. E’ poco serio. Non c’è stata
alcuna speculazione da parte di nessuno, se non quella che sta facendo Vinti
con le sue esternazioni. Anzi, abbiamo lavorato con il concorso di tutti,
senza distinzione di alcun genere, per uno scopo comune e personalmente ho
molto apprezzato questo spirito di squadra.
Parlare
di consenso estorto ai lavoratori è semplicemente vergognoso. C’è stato
infatti un confronto continuo e costante con tutte le maestranze, alle quali
abbiamo sempre spiegato ogni scenario possibile. Da loro abbiamo poi ricevuto
un mandato specifico sulla base del quale è stato siglato l’accordo, che
non rappresenta una svendita, ma un punto importante per cercare di garantire
una continuità produttiva sul territorio.
Il
nostro scopo è far si che possa subentrare un’altra impresa che garantisca
gli stessi livelli occupazionali. Sembra, in effetti, che ci sia già più di
un interesse su quell’area. Ogni cosa dovrà comunque essere attentamente
valutata.”
Massimiliano
Presciutti
(Segretario
Provinciale della Filcea Cgil)
Parole
durissime su entrambe i fronti. Molte contraddizioni e, forse, qualche
furberia di troppo.
Su
questo Sindacato e il suo comportamento, a dir poco ondivago, abbiamo più
volte espresso il nostro negativissimo giudizio.
Sul
lavoro di Vinti e la sua reazione conclusiva ci asteniamo qui dal commentarle.
(In allegato riportiamo il parere personale di uno dei “nostri”).
Nell’”intervento” (più o meno opinabile) di Vinti c’è il dato
incontestabile dell’”opportunismo” dei politicanti (esteso a se
stesso?), i “proclami roboanti” della difesa (possibile?) della continuità
produttiva, il riprovevole teatrino della politica, gli interventi plateali e,
come al solito, le grandi “sparate ad effetto” e le promesse non
mantenute.
Chi
l’ha sparata più grossa? Della serie: “Le grandi balle…”
Dal “Corriere
dell’Umbria” del 12/7/2003: “Tutti al capezzale della Ferro”.
Il senatore Maurizio
Ronconi (Udc) in una nota auspica la necessità “di
assoluta determinazione, intransigenza e sinergia da parte di tutte le
istituzioni umbre. Non deve passare il disegno della proprietà di concentrare
le attività in altre regioni…Per parte mia ho interessato in via urgente
il ministro del Welfare affinchè il governo assuma idonee iniziative”.
Il
problema sul tavolo del ministro Maroni non è mai arrivato.
Dal “Corriere
dell’Umbria” del 20/7/2003: “Ferro Italia, Valentini spera ancora. Per
il senatore umbro ci sono le possibilità di salvare l’azienda”.
Sulla “Ferro Italia”
interviene l’onorevole Domenico Benedetti Valentini, deputato di Alleanza
Nazionale. “Per
la sconcertante prospettiva che gira sullo stabilimento – si legge
in una nota – ho
già preso contatto con il ministro delle Attività Produttive, ottenendo la
disponibilità del suo Ministero a fornire una autorevole sede di confronto
con il gruppo industriale. Di cui abbiamo bisogno e diritto di conoscere le
reali intenzioni. (…) Potrebbero ancora crearsi le condizioni per un
recupero della situazione. (…) Non è possibile rassegnarsi alla
disattivazione di uno stabilimento moderno, redditivo ed ecologicamente
compatibile”.
Lasciamo
perdere l’”ecologicamente compatibile”; oltre alla “rassegnazione alla
disattivazione”, abbiamo alla fine registrato (senza alcuna sorpresa) il
totale disimpegno del post-fascista Valentini, presidente della Commissione
Lavoro della Camera dei Deputati.
Dal “Corriere
dell’Umbria” del 25/7/2003. “Pochi spiragli per la Ferro”.
E’ ancora l’on.
Benedetti Valentini a “spararla” grossa. “Una
vicenda sconcertante – definisce questo caso il deputato umbro di An
– Non
è concepibile che nello scenario di recessione che attraversa l’Europa
industriale, si disattivi un sito produttivo con reddito… Se andrà
avanti l’annunciata chiusura senza accettabili motivazioni come minimo
dovremo far diventare quello della Ferro Italia di Cannara un caso nazionale,
una sorta di assurdo o di paradosso di fronte al quale il ceto politico,
industriale e sindacale a livello italiano non può rimanere inerte.”
Dov’è
il “caso nazionale”? Suvvia, onorevole! Quante altre situazioni, anche più
drammatiche della “Ferro”, avrebbero dovuto scatenare “casi
nazionali”? Un po’ di contegno, per favore…!
Ma l’onorevole, nella sua
esternazione, continua a prenderci per il naso dicendo che “purtroppo
non siamo in un’economia partecipativa ma siamo in una economia di mercato:
deve però esservi un generalizzato senso di responsabilità e di etica
economica che impedisca soluzioni irrazionali e punitive per i territori che
più si sono sacrificati”.
Come
è questa? Ci avete riempito la testa (e qualcos’altro) con le magnificenze
dell’”economia di mercato”, ed ora parlate spudoratamente di “etica
economica”, lamentandovi perchè “purtroppo non siamo in un’economia
partecipativa”!?!
State
almeno zitti, maledetti!!!
Sullo stesso servizio, il
segretario della Filcea Cgil, Presciutti, conferma la linea “dura” del
Sindacato. “La
nostra richiesta era e resta quella del mantenimento dell’unità
produttiva. Non ci troviamo di fronte ad una crisi per cui è aberrante la
scelta della Ferro Corporation. Noi, certamente, non intendiamo consentirla
e faremo tutto il possibile per scongiurare questo assurdo epilogo.”
Come
si sa, il “mantenimento dell’unità produttiva” è stata un’ipotesi
praticamente saltata quasi all’inizio della trattativa, ma il Sindacato era
distratto e, abbandonando troppo presto la linea “dura” (se mai sia essa
esistita), ha sicuramente facilitato “l’assurdo epilogo”.
Dal “Corriere
dell’Umbria” del 26 Settembre 2003: “Fronte comune sulla Ferro
Italia”.
Ancora i post-fascisti di
An in prima fila sulla vicenda del colorificio di Cannara. Il vicepresidente
del consiglio regionale, Pietro Laffranco, dichiara convinto che “questo
importante polo industriale non può scomparire: sarebbe la sconfitta
di tutti, dalla politica all’imprenditoria sana, sino ai sindacati. Ci
impegneremo perché si faccia tutto quanto il possibile per impedire la
chiusura di uno stabilimento che è altamente produttivo e dà utili
significativi alla multinazionale che ne è proprietaria.”
Il
signor Laffranco, come tantissimi altri (diessini, ex-democristiani,
berlusconiani, ciellini e chi più ne ha più ne metta…), se l’è svignata
ai primi ululati della multinazionale, come un cane bastonato.
Chissà
se almeno ancora considera una “sconfitta di tutti” la scomparsa di un
polo industriale e, soprattutto, il licenziamento di un centinaio di
lavoratori?
Dal “Manifesto” del
27 Agosto 2003: “Un comitato operaio a Cannara – I lavoratori
autorganizzati occupano la Ferro Italia e ne impediscono la chiusura”
Scrive Guido Maraspin che
la “vicenda
che viene definita ‘mafia multinazionale’, coinvolge i lavoratori della
Ferro Italia riuniti nel Comitato di Base, l’unico coordinamento sindacale
completamente autorganizzato che si batte da più di un mese contro la
chiusura dello stabilimento di Cannara.”. Dopo una sintetica e
corretta descrizione della realtà aziendale (utili, fatturato, prevenzione
infortuni, certificazione qualità, ecc.), il corrispondente da Perugia del
“giornale comunista” dice che “è
saltato fuori il rospo: l’azienda chiude e per i lavoratori la richiesta di
ammortizzatori ‘in uscita’, i diritti totalmente calpestati. Da qui la
mobilitazione, l’autorganizzazione operaia, l’apertura di una vertenza
approdata il 24 luglio scorso al ministero delle attività produttive. (…) Una
prima, piccola, ma importante vittoria del Comitato di Base che è riuscito a
trascinare nella lotta anche i confederali. All’inizio piuttosto freddi per
essere stati scavalcati dalla mobilitazione spontanea dei lavoratori e poco
convinti degli obiettivi.”
Vorremmo
che non si fossero illusi i lettori del “Manifesto” nel leggere un
articolo scritto con troppa enfasi e, quindi, fuorviante.
Magari
ci fosse stato un “comitato operaio” capace di cacciare a pedate i
burocrati sindacali di Cgil, Cisl e Uil? Ci sarebbero sicuramente stati
risultati diversi, alla fine della trattativa ma, “tra il dire e il
fare”…ci sono purtroppo ancora i confederali a mantenere saldamente in
mano il monopolio della contrattazione. Ciò accade ovunque, anche dentro la
“Ferro” dove l’articolista sembra proprio immergersi in un’isola
felice (sindacalmente parlando)… Attenzione alle esagerazioni!
Crediamo
poi che il “comitato operaio”, riportato a caratteri cubitali nel titolo,
altro non sia stato che un semplice “comitato sindacale di base”, autonomo
e nato per l’occasione, “diretto” dal responsabile produzione coloranti
(quadro – livello A), dal capo del settore commerciale (quadro – livello
A) e dal responsabile laboratorio controllo coloranti (impiegato – livello
B): un organismo dalla scarsa rappresentatività, con un seguito di una
dozzina di operai (del reparto “calcinazione colori”) e fortemente inviso
dal resto dei lavoratori.
Domanda:
se ci fosse stata questa supposta elevata combattività operaia dentro la
“Ferro”, perché lo spirito rivoluzionario e la tendenza alla
“mobilitazione spontanea” dei lavoratori non sono emersi al momento
dell’epilogo della vertenza? Bisognava impedire la chiusura definitiva della
fabbrica e quindi il licenziamento di tutti…Mica bruscolini!!!
Se
poi, qualcuno dei lettori del “Manifesto” si è imbarcato nel sito
internet di Indymedia Umbria – come ha invitato a fare il giornale –
allora avrà potuto trovare tutte le bestialità, gli insulti e le
stupidaggini che alcuni soggetti (naturalmente nascosti dietro pseudonimi -
PsycoX, Comitato sfigati di base, il Bastardo, Baby) hanno fatto partire dalla
loro velenosa quanto inutile bocca…
Dal “Corriere
dell’Umbria” del 27 Agosto 2003: “Ferro Italia, le condizioni poste dai
lavoratori”
Siamo ad un passo dal
baratro, ormai tutto è stato stabilito, ma sentite cosa ha ancora da dire
Francesca Rossi, segretaria regionale della Femca-Cisl. “Purtroppo
ci siamo trovati a gestire questa questione in quella che è la sua fase
terminale senza aver avuto notizia delle intenzioni dell’azienda con il
dovuto anticipo. Qui rischiamo di perdere una entità produttiva di grande
rilevanza, la più grande azienda chimica della zona. E’ una cosa che non
possiamo e non vogliamo consentire.”
Semplicemente ipocrita.
Dal Gruppo consiliare di
Rifondazione Comunista – Comunicato stampa del 27 Agosto 2003.
Ci
spiace dover terminare questa rubrica (che forse tende un po’ a
ridicolizzare certi personaggi politici e sindacali) lanciando una rampognata
a Stefano Vinti e al suo Partito che, insieme, hanno perso un’altra buona
occasione per dimostrare una diversità e un tocco di fierezza che non guasta.
Vinti, che giustamente
parla di “logiche
concertative nella trattativa col gigante multinazionale, abbandonando da
subito il conflitto, con il risultato di aprire un confronto al massimo
ribasso. (…) I parlamentari umbri del centrodestra e dell’ulivo, le
istituzioni regionali, i sindacati hanno finito per disattendere tutte le
promesse fatte nell’assemblea territoriale aperta di metà luglio: cioè
mantenere attivo il sito produttivo di Cannara…” ritiene che “l’unica
possibile soluzione a questa sciagurata vicenda sia la ripresa della lotta e
del conflitto da parte dei lavoratori, dei sindacati, dell’intero
territorio. (…) Soltanto la riapertura di elementi conflittuali da
parte dei lavoratori…potrà ridare uno spiraglio di soluzione in positivo
della vertenza Ferro e la speranza di mantenere attivo il sito di Cannara.”
Se
Vinti, invece di lanciare proclami gladiatori, avesse avuto l’umiltà di
scendere tra i terrestri che da qualche mucchietto di lustri lavorano in
questa fabbrica, cercando magari il confronto e il dialogo con qualche
compagno (stanco ma non pentito) di sua conoscenza, avrebbe forse capito
l’inutilità della sua idea di riaprire “gli elementi conflittuali”
senza il supporto di una proposta alternativa (l’autogestione, il rilancio
di una società a “capitale misto”), praticabile e dirompente, capace di
cacciare una multinazionale e garantire il mantenimento del sito industriale.
Perché
Rifondazione Comunista (che non è fortunatamente soltanto Vinti) non ha avuto
il coraggio di praticare percorsi diversi? Perché il Partito, anche sulle
questioni inerenti il lavoro, rimane incredibilmente incollato al carro delle
istituzioni locali? Paura di rompere con la Lorenzetti che beatamente accoglie
a braccia aperte le multinazionali, minacciando tutti coloro che mostrano
ostilità verso questi corsari dell’economia mondiale? Non si vogliono
rompere gli equilibri politici, evitare una rottura in Umbria per non prestare
il fianco alla destra? E’ già accaduto altre volte (il piano regionale sui
rifiuti, ad esempio), ma questa la chiamiamo subalternità e – ora
aggiungiamo – inutilità di un Partito che soltanto a parole si definisce
antagonista.
Conclusioni
Alcuni hanno salutato
l’accordo del 4 settembre come una vittoria,
altri invece – nonostante abbiano alzato la manina nel momento cruciale del
voto – l’hanno digerito male.
Davvero ci vuole un bel
coraggio a dire che quanto sottoscritto rappresenti un sicuro punto
d’appoggio per i lavoratori della Ferro di Cannara. Di certo c’è solo la
chiusura di uno stabilimento sufficientemente rodato e l’uscita di scena
dalla realtà locale di una multinazionale che, in un decennio, ha rosicchiato
quanto più possibile.
Il resto è soltanto un
fiume di parole scritte per illudere gli ingenui: promesse, impegni a
verificare, a favorire, ad individuare forme di agevolazioni, a
privilegiare…
Il classico scatolone vuoto
tutto da riempire.
Si
poteva fare di più? C’è alla fine
chi ha parlato anche di tradimento quando si è volatilizzata la speranza di
salvare i posti di lavoro e di mantenere questa presenza produttiva. Avrebbero
dovuto essere obiettivi inderogabili da
perseguire e qualcuno si era perfino impegnato a trasferire in ambito
nazionale la questione, nel caso l’Azienda avesse persistito nell’intento
del disimpegno.
(Se
avete letto attentamente quanto qui riportato, certamente non vi sarà
sfuggito l’autore del tradimento!).
Senza andare a cercare
inutili capri espiatori, alla domanda (Si
poteva fare di più?), posta oziosamente da qualcuno alla “fine
dell’opera”, si potrebbe rispondere anche in maniera affermativa.
Riteniamo però che solo puntando sull’autogestione o cercando soluzioni
societarie di compartecipazione pubblica si sarebbe potuta salvare la fabbrica
e garantire la continuità produttiva, anche se questo avrebbe significato
l’apertura inevitabile di una nuova fase di conflitto con la holding
statunitense, in condizioni oggettivamente difficili e, dunque, senza la
dovuta certezza di vincere una battaglia importante. Su tutta la vicenda,
approdata a conclusioni negative, è pesata come un macigno la mancanza di un
reale protagonismo operaio, che non può essere confuso con la teatralità,
gli isterismi e le sceneggiate allestite da egocentrici personaggi,
trasformisti alla Houdini totalmente incapaci di tradurre una realtà
lavorativa complessa e diversificata nei suoi bisogni e necessità,
tremendamente arroccata dopo un decennio di arretramenti e sconfitte cocenti.
Ciò che è stato possibile
infine constatare è che nella sostanziale confusione in cui ha navigato, per
oltre due mesi, la quasi totalità dei lavoratori, hanno probabilmente inciso
questioni di carattere più politico-generale; é certo che le dinamiche
economiche e le controriforme sociali introdotte dagli ultimi governi
liberisti non possono che aver accentuato frammentazioni ed incomunicabilità
già esistenti e di natura generazionale tra i lavoratori, oltre che una
comprensibile e naturale stanchezza e demoralizzazione.
Bibliografia
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chiudendo” (volantino diffuso in fabbrica).
-
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-
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-
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della Giunta”.
-
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Ferro Italia”.
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Nazione” – 11/7/2003 – “Crisi
nera alla Ferro Italia. Cannara/ La fabbrica di vernici rischia la
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-
“Corriere dell’Umbria” – 11/7/2003 – “Finisce
in Parlamento la questione Ferro Italia”
-
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al capezzale della Ferro. Il problema sul tavolo del ministro Maroni.”
-
“Corriere dell’Umbria” – 13/7/2003 – “A
fianco dei lavoratori della Ferro. Anche il sindaco Bastioli
all’assemblea di domattina in fabbrica”.
- “La
Nazione” – 15/772003 – “Ferro
Italia futuro incerto. Si fa sciopero”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 15/7/2003 – “Politici
mobilitati per la Ferro”.
- “Il
Messaggero” – 15/7/2003 – “Ferie
e lavoro, è l’estate della paura. In assemblea i 140 della Ferro di
Cannara
lanciano l’Sos a regione e Governo”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 16/7/2003 – “Caso
Ferro Italia sul tavolo di Marzano. Il senatore Castellani ha presentato
un’interrogazione”.
- “La
Nazione” – 16/7/2003 – “Ferro
Italia, No al trasferimento dello stabilimento. Centoquaranta lavoratori
ancora col fiato sospeso”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 16/7/2003 – “Stato
di agitazione alla Ferro Italia. Già previsti scioperi per domani e
martedì: futuro dei lavoratori incerto”.
- “La
Nazione” – 17/7/2003 – “Ferro
Italia, Comune e Regione sollecitano l’intervento del governo nazionale”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 18/7/2003 – “Tavolo
nazionale per la Ferro Italia. Oggi intanto se ne parla nel consiglio
comunale aperto”.
- Circolo
Culturale “Primomaggio” – 18/7/2003 – “La
Ferro di Cannara chiude? Un altro chiaro esempio di globalizzazione
capitalista”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 19/7/2003 – “Requiem
per una fabbrica in salute. Il circolo ‘Primomaggio’ sul caso della
Ferro Italia in via di chiusura”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 20/7/2003 – “Ferro
Italia, Valentini spera ancora. Per il senatore umbro ci sono le
possibilità di salvare l’azienda.”
- “La
Nazione” – 21/7/2003 – “Ferro Italia, la questione si fa rovente.
Chiesto un immediato tavolo di trattative”.
- “La
Nazione” – 23/7/2003 – “Ferro
Italia, decisi due giorni di sciopero. Ancora una riunione al ministero
per definire il futuro aziendale”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 23/7/2003 – “Due
giorni di sciopero alla Ferro Italia. Il sindacato adotta la linea dura;
solidarietà dai Ds”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 24/7/2003 – “Ore
cruciali per il futuro della Ferro Italia”.
- “La
Nazione” – 25/7/2003 – “Ferro
Italia, adesso si parla di chiusura. Incontro al ministero tra organismi
sindacali, azienda e politici. Nuovo vertice mercoledì”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 25/7/2003 – “Pochi
spiragli per la ferro Italia. I sindacati: ‘Assurdo chiudere, lo
stabilimento è sano’.
Cannara/ Ma al termine del vertice al ministero l’azienda si dice
disponibile alla trattativa”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 26/7/2003 – “Fronte
comune sulla Ferro Italia. Forze politiche di ogni schieramento impegnate
per salvare l’azienda”.
- “La
Nazione” – 27/7/2003 – “Ferro
Italia, domani summit in Regione. E poi scatterà l’appello al Ministro.
La vertenza/ per scongiurare i 150 licenziamenti”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 27/7/2003 – “Ferro
Italia, compatti contro la chiusura. Domani in Regione incontro con la
presidente Lorenzetti. Cannara/ Rsu e Fulc denunciano il tentativo di
disorientare la battaglia dei lavoratori”.
- “La
Nazione” – 28/7/2003 – “Ferro
Italia, i sindacati alzano il tiro: ’E’ un vero delitto industriale’. Accesa
assemblea in fabbrica dopo l’incontro al Ministero. Mobilitazione generale
dei parlamentari umbri”.
- “La
Nazione” – 29/7/2003 – “Ferro
Italia, trovare la soluzione. Incontro con la regione Umbria. Cannara/
Mobilitazione generale”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 31/7/2003 – “La
vertenza torna all’Assindustria. Ferro Italia, il ministro invita le
parti a un nuovo confronto”.
- “La
Nazione” – 31/7/2003 – “Aziende in crisi/ Siglato un accordo al
ministero per proseguire l’attività produttiva di Cannara. Ferro
Italia, si apre uno spiraglio. Ma la mobilitazione resta.”
-
“Corriere dell’Umbria” – 1/8/2003 – “Cannara/ L’assemblea dei
lavoratori approva all’unanimità il patto siglato al ministero. Ferro
Italia, si all’accordo. Agosto
tranquillo. A settembre il negoziato sul tavolo umbro”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 24/8/2003 – “Il
futuro della Ferro in un incontro pubblico”.
- “Il
Giornale dell’Umbria” – 26/8/2003 – “Ferro
di Cannara, si parla di mobilità. Oggi assemblea straordinaria in
fabbrica”. “Agonia
per la Ferro di Cannara”.
-
Mandato della Assemblea
per la trattativa Ferro Italia stabilimento di Cannara del 26/8/2003.
- “Il
Manifesto” – 27/8/2003 – “Un
comitato operaio a Cannara. I lavoratori autorganizzati occupano la Ferro
Italia e ne impediscono la chiusura”.
- “La
Nazione” – 27/8/2003 – “Ferro
Italia, torna l’incubo-chiusura. Allarme lavoro/ Cento posti a rischio
nello stabilimento di Cannara. Si teme l’imminente trasferimento a Sassuolo
di 15 dipendenti”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 27/8/2003 – “Ferro
Italia, le condizioni poste dai lavoratori. Quattro i punti fermi nella
conduzione della vertenza sulla chiusura dello stabilimento”.
-
Comunicato-stampa del
Partito della Rifondazione Comunista – Comitato Regionale Umbro – del
27/8/2003
- “La
Nazione” – 28/8/2003 – “La
Ferro Italia al collasso. Allarme/ I lavoratori dell’azienda temono la
chiusura imminente”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 28/8/2003 – “Rifondazione
Comunista alza i toni sul futuro dello stabilimento. Bisogna
occupare la Ferro Italia”.
- “La
Nazione” – 29/8/2003 – “Cannara/ I lavoratori continuano la loro
battaglia per salvare il posto. Ferro
Italia, nuovo tavolo di trattative”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 30/8/2003 – “Ferro
Italia, appello ai parlamentari”.
- “La
Nazione” – 3/9/2003 – “Aziende
in crisi/ Ferro Italia. Ore di agonia”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 3/9/2003 – “Ferro
Italia, ecco il capolinea. Promesse
per i lavoratori aspettando il tavolo Assindustria.
Incontro in Regione. Speranza di alternative imprenditoriali, agevolazioni e
impegno per riassunzioni”.
- “La
Nazione” – 4/9/2003 – “Ferro
Italia, ore decisive. Affollata assemblea in fabbrica. No alla cassa
integrazione”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 4/9/2003 – “Ferro
Italia, si poteva fare di più. Delusione
dopo l’incontro istituzionale: non ha
aggiunto nulla. Il futuro dell’azienda chimica arrivata alla
chiusura oggi torna al tavolo dell’Assindustria”.
-
Verbale di accordo
sottoscritto da Ferro Italia, Cgil-Cisl-Uil e Rsu – 4/9/2003-
- “La
Nazione” – 5/9/2003 – “Requiem
per Ferro Italia. L’azienda chiude i battenti. In
crisi/ circa 150 posti a rischio”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 5/9/2003 – “La
votazione dell’accordo. Favorevoli in 95”. “Ferro
Italia: c’è la firma sull’accordo.
Si
all’intesa in Assindustria. Oggi sarà presentata ai lavoratori.
Ieri a Perugia l’amministrazione delegato italiano della holding. Ancora top
secret sui contenuti”.
- “La
Nazione” – 6/9/2003 – “Riconversione
ultima speranza. Ferro
Italia chiusa/ Tutti i dettagli dell’accordo siglato con i
lavoratori nella sede dell’Assoindustriali”. “Ferro Italia/ la posizione
dell’Azienda. Parla
Daniele Bandiera: Una
decisione sofferta”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 6/9/2003 – “In
quattro pagine la fine della Ferro. Cassa
integrazione per 12 mesi, mobilità, incentivi all’esodo.
Illustrati in un’assemblea aziendale i termini dell’accordo per i
dipendenti”. “Intervista
con l’amministratore delegato
per l’Italia, Daniele Bandiera ‘Ci
servivano costi minori di produzione’”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 10/9/2003 – “Ferro
Italia: Non un accordo ma una resa sulla pelle dei lavoratori”.
-
“Corriere dell’Umbria” – 13/9/2003 – “Ferro:
‘I lavoratori hanno disgusto della propaganda’. Dura replica dei
sindacati al Prc. ‘Parlare di consenso estorto ai dipendenti è
vergognoso’”.
(*)
Questo “dossier” è stato elaborato da alcuni lavoratori “Ferro
Italia” di Cannara – collaboratori e aderenti al circolo culturale
“Primomaggio” – che, stanchi di essere portati in giro dai
“rappresentanti dei lavoratori”, si sono considerati, fin dall’inizio di
questa brutta storia, soggetti “ fuori dal coro”, preferendo la strada del
silenzio (pur doloroso) al rischio di incrementare la confusione e il
nervosismo fin troppo elevati.
Un
segnale che può anche essere interpretato come disimpegno o rassegnazione.
Sicuramente,
questo “essere fuori”, che è atteggiamento passivo, ha quantomeno evitato
la collisione (anche fisica?) sia con i mestieranti (esterni) che con altri
attori protagonisti di tutta la vertenza.
Gli
autori di questo scritto, pertanto, dichiarano di:
a)
non aver partecipato a nessuna delle
iniziative promosse dalle confederazioni sindacali, a causa del netto
dissenso rispetto alle loro note strategie concertative;
b)
aver diffuso un solo documento politico come prova tangibile
dell’impotenza attuale del movimento operaio;
c)
aver accuratamente evitato di “sporcarsi le mani”,
fino a disertare l’assemblea conclusiva del 4 settembre scorso;
d)
aver rispettato, pur con imbarazzo
e sofferenza, le decisioni prese a larghissima maggioranza dall’assemblea
dei lavoratori.
(finito
di stampare il 7 Ottobre 2003)
Una
risposta (doverosa) al compagno Vinti
Conosco Stefano Vinti,
attuale segretario regionale del Prc, da almeno un paio di decenni; abbiamo la
stessa radice politica (Democrazia Proletaria) e, fino a qualche anno fa,
l’appartenenza allo stesso partito. Vinti, come è noto, è la massima
espressione regionale di Rifondazione Comunista; pluridecorato sul campo
(probabilmente a causa del non disprezzabile risultato elettorale ottenuto dal
partito in Umbria sotto la sua dirigenza), il “nostro” è oggi
contemporaneamente segretario e capogruppo al consiglio regionale nonché
membro della direzione nazionale del Prc.
Nell’immaginario
collettivo, il Prc in Umbria è Stefano Vinti: uno che ha percorso
gradualmente tutte le tappe del carrierismo politico (prima anonimo
sindacalista Cgil, poi leader della corrente sindacale “Essere Sindacato”
per essere quindi eletto segretario provinciale del Prc), naturalmente
sgomitando e “facendo le scarpe” a qualcun altro, come nella migliore
tradizione di qualsiasi movimento comunista.
Vinti è uno che conta
anche dentro Palazzo Cesaroni e, se solo volesse, sarebbe in grado di mettere
in difficoltà in qualsiasi momento una Giunta regionale politicamente
sconcertante.
Ad onor del vero, come
coordinatore/organizzatore di partito, non è un gran che… Anzi, si è
rivelato una vera e propria frana: i circoli non funzionano, alcuni hanno
chiuso i battenti, le iniziative sono scarsissime e praticamente limitate alle
“feste” di “Liberazione”, la democrazia interna latita e c’è chi
parla addirittura di epurazioni nei confronti dei dissidenti e i non
allineati…. Qualcuno lo considera un piccolo “padre-padrone” del
partito.
Vinti ha però il fiuto del
segugio, ha capito perfettamente che aria tira anche nella “rossa” (?)
Umbria e, forte della sua maniacale voglia di conquistare amicizie e spazi
editoriali, ha puntato tutto sulla comunicazione e, a costo di essere
associato a un minuscolo berlusconi locale, sotto questo aspetto ha dimostrato
di essere davvero un “grande”, un professore.
Sulla stampa è diventato
un presenzialista, puntuale come un orologio svizzero.
Ora, come semplice
osservatore, non più attivista politico, comunista non pentito, forse
eretico, sicuramente lontano dall’ortodossia di partito e (politicamente
parlando) perennemente indeciso sul “che fare da grande”, mi diverto ad
inseguire sulla stampa locale i suoi numerosi interventi.
Alcuni li trovo
interessanti, analitici, buoni per una riflessione; altri invece sono
intriganti, solo propagandistici e fastidiosamente ripetitivi.
Va riconosciuta a Vinti
l’encomiabile propensione a mettere il dito su tutto, con una accentuata
ostinazione sulle piaghe più purulente come quelle del lavoro.
Solo negli ultimi tre mesi,
da quando cioè si è fatta preoccupante la crisi di alcuni settori produttivi
(tessile, chimica, siderurgia e metalmeccanica), e incerto il futuro di
centinaia e centinaia di lavoratori umbri, egli ha avuto una particolare
attenzione (esternando almeno una trentina di volte, soprattutto sul
“corrierino” e sul “giornalino”) alle vicende legate alla
“Viasystem”,“Ast-Thyssen Krupp”,“Linkweld”
di Terni, “Itelco” di Orvieto, “Alcantara” di Nera Montoro,
“Ims” (ex-Pozzi) di Spoleto, “Selti” di Todi, “Trafomec” di
Tavernelle, “Carini” di Gualdo Tadino, “Sangalli” di Magione e
“Ferro Italia” di Cannara.
Più che incuriosito,
(dovrei dire) direttamente interessato, visto che su quest’ultima fabbrica
c’ho vissuto trent’anni e passa della mia vita per poi – come troppo
frequentemente accade – essere triturato nella macina degli esuberi, mi sono
andato a leggere più volte ciò che il “nostro” ha detto (spesso
ricorrendo a mezzucci di pura propaganda) sulle questioni legate
all’industria chimica regionale e in particolare al colorificio ceramico di
Cannara.
Provate, per esempio, a
leggere i suoi interventi sul “Corriere dell’Umbria”, a partire da
“Terni, Narni, Cannara: stop al declino della chimica” (del 4 agosto),
proseguendo per “Multinazionali, costruire un tavolo” (del 5 settembre),
fino ai “Distretti industriali per uscire dalla crisi economica” (del 30
settembre). Ci sono degli spunti interessanti, analisi pure azzeccate, ma
l’impressione generale è che la troppa verbosità rischia di far perdere la
bussola al lettore, lo disorienta per poi ipnotizzarlo. Attenzione al
tranello! Vinti non è il semplice editorialista di un giornale comunista, che
ha legittimamente la facoltà di esternare la propria indignazione contro un
governo devastante “che può vantare
lo smantellamento e il definitivo declino del sistema industriale italiano”;
Vinti ha naturalmente il diritto/dovere di elaborare analisi e teorie
economiche auspicabilmente alternative a quelle neoliberiste (come alcune
volte ha fatto intendere), ma non può e non deve dimenticare il suo ruolo di
amministratore e di co-responsabile politico delle scelte regionali, per cui
diventa scarsamente credibile quando il suo ragionamento è limitato
all’ammissione dei ”ritardi del
sistema istituzionale nel costruire un metodo di confronto con le
multinazionali che producono in Umbria” e al semplice riconoscimento che
“senza un modello comportamentale che
preveda un confronto continuo, l’atteggiamento delle multinazionali verso il
territorio tenderà alla totale deregulation”.
Qui non si tratta di
compiere scelte “barricadere” con finalità elettoralistiche, come hanno
più volte minacciosamente denunciato i signori liberaldemocratici suoi
alleati di giunta, ma dimostrare il coraggio della non subalternità alle
politiche servili dei governi (centrale e periferici) verso le multinazionali.
Tentare di invertire, con la proposta, la pessima tendenza di costruire una
società che riduce drasticamente le certezze.
Chi ha occhi per vedere,
non può non essersi accorto che questa deregulation
è in atto – in Umbria - da almeno qualche anno. La Nestlè con la Perugina
o la Thyssen Krupp con le Acciaierie di Terni, la Danone con la Pasta Ponte o
la Ferro Corporation con la Bonaca, e via discorrendo…!
Non è ovviamente soltanto
un problema di multinazionali che, favorite come sono state dalla mania
privatizzatrice dei vari governi preposti alla svendita dell’industria
nazionale, possono anche giocare la carta ricattatoria della delocalizzazione,
ma esiste un più serio problema che ha determinato una forte regressione dei
diritti del lavoro e della civiltà del lavoro.
Allora: si vuole costruire
in Umbria uno strumento specifico per il confronto con le multinazionali?
Benissimo. Ma le stesse cose erano state praticamente dette, in aggiunta ad
altre cose intelligenti, oltre cinque mesi fa dallo stesso Vinti.
Scriveva
il segretario regionale del Prc sulla stampa locale che “E’
vero o non è vero che con il Patto per lo sviluppo e l’innovazione si sono
assunte delle responsabilità e degli impegni che ancora sono solo parole
scritte sulla sabbia? (…) Rifondazione Comunista ritiene necessaria una vera
e grande vertenza regionale (…) Alle organizzazioni datoriali dell’Umbria
chiediamo di scegliere con decisione la strada dell’innovazione…, di
investire in ricerca tecnologica, di lavorare per salvaguardare i livelli di
civiltà del lavoro e la coesione sociale (…) I dati della Direzione
provinciale del lavoro di Perugia…ci interrogano anche implicitamente sulla
riduzione dei diritti sociali nelle fabbriche, della dispersione delle
garanzie minime del lavoro, dell’avanzare impetuoso delle nuove tipologie
del lavoro precario senza garanzie, senza diritti. In Umbria sembra quasi che
la struttura economica e produttiva abbia scelto la via neoliberista, mixando
riduzione dei diritti sociali, compressione del lavoro, sussunzione del
territorio e del patrimonio ambientale per la valorizzazione del profitto
(…) Su questi temi si avverte anche uno spaventoso ritardo della politica,
del confronto e del dibattito, una inerzia delle istituzioni locali, ad
iniziare dalla giunta regionale…” (dal “Corriere dell’Umbria”
del 24/4/2003 – “E’ tempo di aprire una vertenza regionale”).
Parole pesantissime quanto
condivisibili ma, a distanza di tanto tempo e in una situazione politicamente
invariata e di crescente precarizzazione del lavoro, sento ancor più forte il
morso di chi è stato letteralmente preso per i fondelli…
Nell’ultimo dei suoi
lunghissimi scritti, il “nostro” ha rispolverato un po’ di sano
“politichese” tanto per rendere ancor più incomprensibili alcuni concetti
e far crescere la collera di chi – nel frattempo – è rimasto senza lavoro.
Dice
che “vanno sviluppate opportunità
che debbono servire a dotare di uno strumento di intervento efficace il Patto
per lo sviluppo, al fine di ricostruire la personalità economica del
territorio, arricchendolo di competenze in rete per accrescere la competitività
del nostro sistema di imprese…”; ed ancora che “si
tratta di inaugurare una dimensione nuova dello sviluppo locale, basato su una
legge quadro regionale di interventi, tendenti all’attivazione di un modello
articolato di sviluppo basato sulla distrettualità, in un contesto di
dimensione territoriale dello sviluppo…”.
Più chiaro di così!!! Ho
provato a leggere questi passaggi ad alcuni lavoratori della “Ferro”,
recentemente licenziati (come il sottoscritto). Fortuna che ho ancora gambe
buone per scappare…!
Vinti, come detto, è
intervenuto più volte (anche meritoriamente) sulla vicenda “Ferro”.
In più di una occasione ha
mostrato però di vivere altrove, quasi a confermare l’abissale distanza –
e perfino l’incomunicabilità – che permane tra due mondi separati, quello
politico e quello del lavoro.
Ad un certo punto della
trattativa (siamo intorno alla fine del mese di agosto), quando le rituali
logiche concertative sindacali si erano ormai propagate come una metastasi in
tutto il corpo operaio, Vinti ha commesso l’incredibile errore di rilanciare
la palla dell’occupazione dello stabilimento per aprire un forte conflitto
territoriale, senza capire quali sentimenti stavano prevalendo in una fabbrica
già fortemente individualista/opportunista e scarsamente
sindacalizzata/politicizzata.
Nessuno se lo è filato,
perché tutti avevano già capito l’epilogo di un film già visto altrove…
Non contento della sua
solitudine, il “nostro”, parlando di “consenso estorto all’assemblea
dei lavoratori”, ce l’ha messa tutta per farsi malmenare perfino da un
sindacato notoriamente screditato.
Una sortita infelice, la
sua, che è stata pesantemente apostrofata anche da quegli operai – in verità,
una piccola componente minoritaria – suoi elettori o potenziali tali.
A mio modesto parere, Vinti
avrebbe dovuto fare una cosa semplicissima: scendere dal cadreghino di Palazzo
Cesaroni, misurarsi con i lavoratori della Ferro attraverso la convocazione di
un’assemblea pubblica davanti ai cancelli o in piazza, capirne le necessità
e i bisogni e, soltanto allora, agire negli opportuni luoghi istituzionali
facendo le dovute pressioni e magari avanzando proposte concrete ed
alternative rispetto a quelle sposate dai concertatori di professione.
Invece di ululare invano
alla luna, come egli ha preferito fare (a giochi fatti), Vinti e compagni –
in qualità di “ago della bilancia” degli equilibri politici regionali –
avrebbero almeno potuto far tacere la signora Lorenzetti, la cui genuflessione
nei confronti delle multinazionali è fin troppo nota ed inquietante (“E’
impensabile aprire un conflitto con una multinazionale alla quale invece
dobbiamo tenere una particolare attenzione e un occhio di riguardo…” –
avrebbe pubblicamente detto la “presidentessa” nel corso della trattativa).
Vinti
è anche libero di pensare ad un voto estorto ai lavoratori nella fase
conclusiva della vicenda.
Non
avendo partecipato volutamente alle assemblee, non posso essere certo che si
sia fatto ricorso anche a questi mezzucci di basso profilo; conoscendo però
quei lestofanti dei “confederali”, ritengo che questa possa essere
un’ipotesi verosimile. E’ certo, comunque, che – tranne gli assenti (una
ventina e per diversi motivi) – l’accordo è stato ratificato dalla quasi
totalità dei lavoratori (soltanto tre astenuti).
Perché?
Provo a dare una risposta.
Nell’accordo
sono previste: a) la cessazione dell’attività produttiva e, quindi, la
chiusura definitiva dello stabilimento a partire dal 6 ottobre 2003; b) la
Cassa Integrazione Straordinaria per tutte le 98 unità lavorative per 12 mesi
(80% della retribuzione); c) il ricorso alla mobilità (alla scadenza della
Cigs e con un trattamento economico di poco inferiore) per uno, due o tre
anni, secondo l’età anagrafica del dipendente; d) una somma a titolo
transattivo di importo lordo pari a 12 mensilità retributive lorde.
Non credo che ci possa
essere qualcuno felice di essersi trovato in queste condizioni; a nessuno fa
piacere d’essere licenziato, per di più in una situazione paradossale (non
di crisi) come quella creatasi alla “Ferro”.
Ciò premesso, pongo però
necessariamente una domanda a Vinti. In
assenza di proposte “forti”, che nessuno dei politici ha pensato mai di
elaborare e sostenere in una lunga e difficile trattativa, proposte radicali
capaci di garantire almeno per un decennio la continuità produttiva e, di
conseguenza, il mantenimento dei livelli occupazionali, cosa avrebbero dovuto
fare gli operai? Continuare la lotta? Per che cosa? Dimostrare di poter
resistere tre/quattro mesi per andare poi verso una inevitabile sconfitta, con
un pugno di mosche in mano?
Beh! Sui lavoratori della
“Ferro” si può dire tutto il male possibile ed immaginabile, ma una cosa
è certa: non sono fessi!
Fabrizio
Baroni
(dipendente
“Bonaca-Bayer-Ferro” dal 12/2/1973)
Cannara,
9 ottobre 2003
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