don Luigi Ciotti
(Nota - Per problemi tecnici dovuti alla registrazione, non è stato possibile riportare in modo completo la parte in cui Don Luigi Ciotti ha parlato di Placido Rizzotto. Per gli stessi problemi, non sono state trascritte le domande che il pubblico ha posto nel dibattito successivo agli interventi degli ospiti. )
Luigino Ciotti Prima di iniziare questa serata, vogliamo ricordare il tragico momento del rapimento di Giuliana Sgrena, la giornalista del Manifesto sequestrata in Iraq. Questo ricordo è per noi importante, perché Giuliana è una giornalista che ha cercato di fare veramente il suo dovere, in un luogo dove c'è un'informazione a tutti gli effetti militarizzata e dove c'è una logica giornalistica che non va ad indagare le notizie e a scavarle ma si accontenta delle "veline" ufficiali. Questo non è il caso di Giuliana che dall'esperienza della Somalia, dell'Afghanistan, successivamente anche dell'Iraq, ha cercato veramente di far capire quello che succede, la realtà. Che si è sempre opposta all'idea di esportare la democrazia con i carri armati e con le bombe cluster che, come avete visto in questi giorni, devastano anche i corpi umani. Almeno queste scelte si potrebbero evitare, almeno queste cose incivili fatte da chi parla di "essere civile" e di esportare la democrazia.
Le idee di Giuliana sono quelle stesse che animano il circolo culturale primomaggio e le iniziative che facciamo stanno lì a dimostrarlo. La serata di oggi fa parte di un trittico: la scorsa settimana abbiamo avuto Fabio Alberti, presidente di un "Ponte per", un'associazione che dal 1991 è in Iraq e che quindi non è andata ad impegnarsi lì solo in questa fase di devastazione-ricostruzione come qualcun altro fa ma che invece ha cercato di fare un'operazione di rapporto tra popoli. La prossima settimana invece parleremo del popolo Sahrawi con Luciano Ardesi, presidente della Lega per i diritti dei popoli, fondazione Elio Basso. Ardesi ha scritto un libro, recentissimo, edito dalla EMI, che si chiama "Sahara Occidentale: una scelta di libertà" e nel quale parla di un popolo che è stato dimenticato. Infatti, coloro che esportano la democrazia poi si dimenticano che su alcuni territori come il Sahara Occidentale, c'è uno stato che non è proprietario (il Marocco) che ha cacciato i legittimi abitanti (che ora stanno nel deserto dell'Algeria del sud). Questo tanto per ricordarlo, perché di queste cose non si parla mai.
Erano solamente alcune cose da dire prima di cominciare. A Giuliana noi ci teniamo in modo particolare perché ci sentiamo parte del suo percorso umano, politico, del suo modo di fare giornalismo.
Silvana Lavelli Buona sera a tutti e vi ringrazio di essere qui stasera e di aver fatto la scelta di venire ad ascoltare un uomo secondo me straordinario che conosciamo tutti per quello che sta facendo. In un momento in cui magari uno pensa che tutto va male e che è inutile lottare, ascoltando lui ti senti, scusate la parola, una "cacca" perché, confrontandoti con la sua esperienza, pensi proprio che non sia possibile che abbia fatto tutte queste cose. Lui oggi a Perugia ha parlato di una cosa molto bella: il diritto alla rabbia. Stasera lui vi parlerà di cose che veramente ti toccano dentro e quindi pensi veramente che questa tua rabbia che hai, nei confronti di tutte le ingiustizie che ci sono nel mondo, deve continuare e non puoi permettere che venga a mancare. Detto questo, prima di far parlare il "reverendo" Ciotti, vorrei dare ancora la parola al "laico" Ciotti che penso abbia anche lui una piccola introduzione da fare. Grazie.
Luigino Ciotti In realtà nulla di particolare da aggiungere. Questa iniziativa è stata pensata da alcuni mesi e cogliendo la disponibilità di Don Luigi, abbiamo fissato la data alla riunione sulla riforma dell'ONU che c'è stata a Padova in novembre. Come vedete, lui è qui. Lui sta anche poco bene, quindi cercheremo di risparmiarlo il più possibile, anche perché questa notte ripartirà per Roma dove parteciperà alla manifestazione per la liberazione di Giuliana Sgrena, della giornalista francese Florence Aubenas e della guida irachena Hussein. In un momento estremamente importante, ha dovuto rinunciare anche ad altri impegni che aveva a Palermo in un convegno con i giudici. Di questo è dispiaciuto ma ha ritenuto estremamente importante partecipare alla manifestazione in cui non si manifesterà solo per la liberazione di Giuliana ma per la pace.
Questo è il nostro obiettivo e noi siamo anche per il ritiro delle nostre truppe italiane (e ovviamente non solo le nostre) dall'Iraq. Queste truppe che certo pace non hanno prodotto per come stanno avvenendo le cose, visto che continuano quotidianamente i morti, che non è assolutamente detto che siano in numero inferiore a quelle che ci sarebbero se le truppe andassero via. Qualcuno pensa che se le truppe se ne andassero, chissà che cosa succederebbe ma la mia sensazione è che non può succedere nulla di peggio di quello che già succede oggi. Questa sensazione l'abbiamo già parte analizzata con Fabio Alberti, la settimana precedente.
Don Ciotti è arcinoto per il suo impegno, ha cominciato come laico prima di aver fatto la scelta dei voti. Si è sempre impegnato in particolare con alcuni settori - tossicodipendenti, carcerati, gli emarginati, le persone in disagio - senza mai ritenere che fossero categorie particolari. Don Luigi ha sempre pensato che ci fossero persone davanti, magari persone con problemi, ma che questi problemi andassero affrontati in maniera diversa rispetto al modo tradizionale. Questo è stato il suo operato e indubbiamente si deve anche a lui la nascita - insieme ad altri, ma lui è stato un elemento determinante - di alcune associazioni: penso al gruppo Abele, penso a Libera e poi al CNCA che raggruppa una serie di esperienze.
Don Luigi ha operato sulla questione delle mafie che oggi è molto dimenticata in Italia. Gli esponenti mafiosi sono in alto loco e determinano anche la vita politica di questo paese. Le cose in positivo nella lotta contro questi comportamenti mafiosi - penso alle cooperative costruite da Libera che cercano di trovare nuova ricchezza e ricostruire un nuovo tessuto sociale lavorando sulle terre confiscate ai mafiosi - sono in gran parte merito delle associazioni in cui lavora Don Luigi. La sua grande disponibilità, la sua grande passione quando ci parla delle cose - lo sentirete parlare stasera, anche con un linguaggio e con un approccio particolare - attraggono molto come ho visto questo pomeriggio a Perugia dove l'attenzione del pubblico è stata veramente notevole. Devo dire inoltre che la sensazione che ho avuto oggi che il suo sia un messaggio di natura evangelica, dalla parte degli ultimi, quegli ultimi che saranno i primi.
Queste associazioni fanno peraltro in questo paese un grande lavoro, non solo sociale ma anche culturale. Penso ad esempio ad alcune pubblicazioni come Narcomafie che forse varrebbe la pena di leggere per affrontare questi problemi. C'è un'altra stampa che nessuno conosce o che sono in pochi a leggerla, come ad esempio le pubblicazioni di Carta. Quanti di noi la comprano? So che nelle edicole dove vado non la compra nessuno e probabilmente lo stesso vale per Narcomafie. Eppure io credo che, almeno noi che parliamo di un altro mondo possibile, lo dobbiamo fare in un altro modo e con altri strumenti. Quindi riappropriarci di strumenti che già sono a disposizione è una condizione indispensabile. Socializzare le esperienze e le conoscenze è una cosa utilissima ed è quello che in parte cerchiamo di fare anche noi nel costruire queste iniziative. Io preferisco non aggiungere altro e dare direttamente la parola a Don Luigi, dopodichè, come al solito, daremo spazio al dibattito.
Don Luigi Ciotti Buonasera, vi ringrazio molto. Voi mi insegnate che la precondizione perché ci sia pace è la non violenza. Questa è la precondizione fondamentale nelle relazioni, nei rapporti, nei territori. Si comincia sempre dalle piccole cose, si comincia dalle nostre case. Non è un caso che, nel Vangelo, tutte le volte che c'è accoglienza, c'è relazione, c'è comunicazione, si parla di "casa". Tutte le altre volte invece si parla di mura o edifici. Perché "casa" è proprio quando c'è questa presenza, questa accoglienza, questa attenzione reale verso gli altri. Ebbene, oggi nel nostro paese la violenza è la mafia. È una guerra che si consuma - noi siamo in guerra da anni - e che ha lasciato sul campo migliaia e migliaia di persone. Chi ne parla? Vi porto solo dati ufficiali, dati su cui riflettere, da condividere insieme. Prima della vicenda di Napoli - questa esplosione di vicenda e di morte, di controllo del territorio, del traffico delle sostanze stupefacenti e non solo - che ha calamitato l'attenzione dei mass-media, il dato ufficiale in Italia già vedeva comunque, nel totale assoluto silenzio del paese, un aumento dei morti per mafia rispetto all'anno precedente dell' 83% . Chi lo sapeva? Noi abbiamo avuto, nell'arco dell'ultimo anno, l'83% di morti in più nel più totale silenzio. La provincia con maggiore mortalità, frutto di questa violenza, è stata quella di Crotone. Certamente a Napoli, questa esplosione ha portato politici, giornali, servizi: di tutto si è scatenato in quel territorio.
Quello che volevo però condividere con voi è quel bisogno di verità che ci deve accompagnare sempre, il bisogno di essere informati e informare verità sempre, di mettere in grado di conoscere (poi anche noi abbiamo le nostre responsabilità, non dobbiamo essere persone che stanno solo ad aspettare ma dobbiamo anche cercarla la verità, almeno in piccola parte. Naturalmente c'è anche la responsabilità di un'informazione su cui non voglio generalizzare, ma sulla quale bisogna porre una serie di riflessioni). Negli ultimi anni, abbiamo avuto - dato ufficiale accertato - 1400 suicidi per usura. L'usura, in parte legata ad organizzazioni criminali mafiose, in parte legati ad altri tipi di "cravattari", porta molte persone alla disperazione, all'ansia, a non trovare altri tipi di soluzione che affidarsi a certe persone. I tassi sono proprio soffocanti e c'è chi non regge, persone in cui qualcosa si rompe dentro e in cui c'è molta fragilità. Queste morti pesano e devono pesarci con estrema forza.
Io non mi stanco di dire e continuo a sostenere da anni che i giovani morti di overdose e di droga - pur non dovendo dimenticare la loro quota di responsabilità e una serie di altri meccanismi (non vorrei semplificare troppo) - sono tutti morti per stragi di mafia, perché questo mercato è in mano alle organizzazioni criminali mafiose. L'unico mercato al mondo che, in 35 anni, non ha avuto mai un momento di flessione. Sempre un più, mai un meno, pur con i cambiamenti, le trasformazioni, le oscillazioni di alcune sostanze e l'aumento di altre, l'immissione di altri mercati e di altre sostanze, etc. Ma l'unico mercato al mondo che in 35 anni non ha mai avuto una flessione, un meno, è il mercato delle sostanze stupefacenti. Allora voi capite che la violenza è la mafia e che tutte queste morti ci appartengono.
Ci sono poi le responsabilità delle Nazioni Unite. La truffa delle Nazioni Unite dove sta? Vi porto solo un esempio di cui ho parlato proprio a Padova all'ONU dei popoli, un esempio molto documentato da parte mia. Purtroppo le persone interessate hanno le mani un po' legate e molte agenzie dell'ONU sono ostaggio dei finanziamenti che gli stati danno. All'agenzia di Vienna, che si occupa della criminalità e della droga, sono stati spesi miliardi e miliardi per delle ricerche che hanno visto coinvolti dei bravissimi ricercatori, anche italiani. Sono stati fatti dei lavori eccezionali per sapere i traffici, le sostanze, le nazioni, le cosche, chi ci sta dietro, tutti i meccanismi; un lavoro immenso, attento, puntuale, come altre agenzie su altri temi hanno elaborato, perché sono fior fiori di intelligenze, di giovani che ci lavorano, di ricercatori. Poi però c'è il ricatto dei paesi che dicono che "noi non finanziamo più se il rapporto è scomodo o etichetta il mio paese e va a toccare i miei interessi". Quindi sappiate che nei cassetti di Vienna ci sono fior fiori di ricerche sul traffico e sulle responsabilità di questo continuo crescere del mercato delle sostanze stupefacenti, nei suoi cambiamenti e nelle sue trasformazioni: però questi dati che vanno a chiamare le responsabilità di alcune nazioni e di chi le governa e l'insufficienza o la tiepidezza degli interventi, sono messi nel cassetto. Non escono. Io conosco dei bravissimi ricercatori che hanno fatto una bella esperienza ma poi sono stati umiliati e mortificati perché il frutto di anni di lavoro non è stato mai permesso di essere conosciuto.
Allora voi capite che siamo qui per chiedere verità. Il futuro della vita tra libertà e responsabilità vuol dire conoscere la verità, vuol dire essere informati e poter informare. Noi viviamo in un paese, l'Italia, dove ogni giorno ci sono persone che, per questa violenza - diretta o indiretta - che si compie, perdono la vita. Mercoledì avremo un convegno a Torino con i sindacati, ne è già stato fatto un altro sul lavoro nero. Nessuno di noi avrebbe pensato che ci sarebbe stato un grande ritorno del "caporalato" in moltissime regioni italiane. Sono ritornati i caporali. Sai cosa sono i caporali? I caporali sono delle persone che fanno l'intermediazione della mano d'opera. Io sono senza lavoro, vado da un caporale che mi dice: "io ti do il lavoro, ma tu mi devi pagare una quota di quello che prendi". Questi lavori sono già sottopagati ma vengono ancora più umiliati perché una quota li prende il caporale. Tu sei nella disperazione, cerchi disperatamente un lavoro, trovi un momento di difficoltà, acchiappi anche quei quattro soldi perché quello è il canale che ti permette di avere del lavoro. Se tu non accetti quelle condizioni, resti senza lavoro. I caporali erano soprattutto donne, sfruttate e usate in Puglia per la raccolta della verdura, poi anche in Campania. Alle donne negli anni si sono succeduti gli immigrati, per quattro soldi. Il sindacato degli edili, nell'ultimo anno e mezzo, hanno denunciato un dato: nel Nord Italia, il 40% di chi lavora nell'edilizia, lavora in nero. C'è il caporalato. I sindacati denunciano questo. Noi della carovana anti-mafia di Libera, a metà settembre, su 7 piazze di Milano, alle 5 del mattino, abbiamo visto e filmato i caporali. Ora si stanno muovendo delle cose ma come tu acchiappi di qua, tutto si muove di là: c'è molta omertà perché uno non perde quel filo di lavoro che ha, capite? C'è una media in Italia del 28%, il 40% nel nord, dove ci sono grandi imprese ma anche tanti subappalti. C'è un problema di sicurezza perché il lavoro nero vuol dire meno sicurezza: e soprattutto c'è un problema di legalità nel nostro paese, dove mai come in questo momento c'è questa violenza di illegalità. È una violenza in tutti i sensi, in tutti i sensi.
Ecco allora che la precondizione perché ci sia pace è la non violenza; violenza è mafia, violenza è "doping", violenza è mercato delle sostanze stupefacenti e di chi dietro le manovra, violenza è lo sfruttamento della prostituzione. Noi, come tanti altri, gestiamo una rete di servizi in questo senso, in cui cerchiamo di strappare queste ragazze dal giro della prostituzione, di reinserirle e di rilanciarle. Mesi fa è arrivata una bambina, scusate se la chiamo così, di 16 anni portata dai carabinieri: già venduta ben 5 volte sul mercato della prostituzione, come al mercato delle vacche, né più né meno. Comprata e venduta, comprata e venduta dalle varie organizzazioni, nei vari passaggi, a 16 anni. Al solo avvicinarsi di una figura maschile, faceva un passo indietro per le vicende che aveva profondamente vissuto. La tratta degli esseri umani, il riciclaggio del denaro, l'usura, il pizzo. A Napoli si parla di queste morti e violenze, però qualcuno deve anche dire che quest'anno a Napoli sono nate tre associazioni anti-racket. Cinquanta commercianti hanno cominciato a dire basta, a non abbassare la testa, a unire le forze e le energie, a cominciare a denunciare: sono nate così a Bagnoli, a San Giovanni a Teduccio e a Pianura tre associazioni anti-racket. Capite dunque che si muove qualcosa, che parte dal coraggio delle persone, non è solo negatività.
Ci vuole coraggio, tutti, anche se mi rendo conto che in alcuni contesti è dura e difficile. Quattro giorni prima di essere ucciso, a Paolo Borsellino, una giovanissima e simpatica giornalista chiese: "Dottore, lei ha paura?" E lui rispose: "Si ho paura", ma subito dopo aggiunse: "L'importante è avere tutti più coraggio." Non abbiamo bisogno di chissà che cosa, ma certamente ci vuole un po' più di coraggio, nel conoscere, nel cercare informazioni, nel non semplificare, nella denuncia rispetto alle cose che tocchiamo, alle ingiustizie e alle crisi di legalità nei nostri contesti del paese: non dobbiamo assolutamente tacere. E devo dire che tre associazione anti-racket nel Napoletano sono una piccola cosa ma a Palermo non ce n'è nemmeno una. A Palermo non si spara. Attenzione però, perché quel silenzio della mafia fa tanto rumore. La mafia fa affari, ha creato nuove strategie, ha messo suoi uomini nei punti fondamentali delle proprie operazioni, ha fatto nuovi accordi con il risultato che ci sta impoverendo. C'è questa violenza. La violenza non è solo quella che spara ma anche quella che ci impoverisce e che ci indebolisce tutti in un certo modo.
Ecco, la mia prima considerazione, partendo proprio dal pensiero forte di Giuliana - questa nostra italiana, giornalista, donna coraggiosa, donna di pace, impegnata proprio nel costruire percorsi di non violenza e nel cercare di documentare la verità - mi sembrava doveroso ricordare che nel nostro paese noi viviamo situazioni di grande conflitto, di "guerra", di violenza e ogni giorno, dentro le nostre realtà (a volte siamo un po' distratti), si consuma tutto questo. È un paese che deve reagire, che deve reagire.
Come spiegavo a Perugia qualche ora fa, un dato per me inquietante e impressionante - emerso nei 15 paesi dell'Unione Europea, peraltro per difetto - dice che le persone suicide nei 15 paesi dell'U.E. (non sono stati calcolati i 10 paesi entrati recentemente) era pari a 58 mila. Il picco sta aumentando sempre di più e riguarda in particolare i giovani e gli anziani. Il suicidio non può essere sempre liquidato per patologie o per questioni di malattie varie. Certamente c'è una quota di sofferenza e di squilibrio ma i nodi sono la solitudine, il disorientamento, la mancanza di spazi e di riferimenti. La società non può liquidare con dei numeri o con delle analisi frettolose la troppa gente che distacca la spina della vita. Il futuro della vita e della responsabilità vuol dire anche chiederci come mai delle persone giovani e anziane distaccano - credo con grande fatica e grande sofferenza - la spina della vita.
E d'altra parte - lo dicevo a Perugia - è impressionante che nel mercato sia arrivato il cuscino umano. Lo trovate sui siti, costa 86 dollari ed è fatto con due gambe di donna ripiegate su sé stesse, fasciate da una gonna. Potete cambiare il colore della gonna, se volete! I nostri ragazzi hanno bisogno di tenerezza, di affettività, sentono i bisogni profondi delle persone: il bisogno di sicurezza, di poter contare sulla presenza degli adulti, sulla dimensione dell'affettività che è un bisogno profondo di tutti, degli adulti, degli anziani, dei bambini. L'affetto, l'amicizia, l'amore sono bisogni, non degli optional che ci possono essere o non possono essere. Così come anche la comunicazione non è un optional. È una dimensione importante della vita. Il numero delle parole maggiormente usate dagli adolescenti in Italia dodici anni fa era 1600. Oggi si sono ridotte a 600. La televisione parla ma non comunica, i messaggini riducono la comunicazione. I viaggi virtuali, internet - strumento importante se usato con responsabilità - sono però virtuali, non c'è il reale esercizio della comunicazione. Ormai è tutto con le e-mail, stiamo perdendo la capacità di scrivere e di comunicare. Adesso abbiamo i cuscini umani che cominciano ad entrare in commercio. Il bambino può dormire sulle gambe della mamma ma sono artificiali! C'è poi un altro cuscino che è ancora più clamoroso perché ha anche il braccio umano: quindi ti addormenti sul cuscino e c'è questo braccio finto (maschile o femminile) da cui il bambino si sente protetto.
Allora voi capite che dobbiamo recuperare questa dimensione affettiva e dobbiamo rimettere tutto questo al centro della nostra riflessione. Nell'agosto di due anni fa, in Cina, un signore italiano, ha vinto la medaglia d'oro in 11 tappe di una corsa podistica. Meritava i titoli dei giornali perché ha vinto 11 tappe massacranti di una competizione internazionale sulla via della seta. Ma forse perché era agosto, solo qualche giornale sportivo ne ha parlato, gli altri non lo hanno fatto. Il vincitore era un italiano. L'unico problema è che questo vincitore è un cieco. Si chiama Raffaele Panebianco e ha vinto questa competizione podistica internazionale sorretto e guidato grazie ad una piccola cordicella legata al polso di un volontario: uno che corre, che prende le ferie per permettere a lui di correre! Altrimenti questo non poteva correre, perché è cieco. Il regolamento stabilisce che se tu sei cieco, puoi avere qualcuno che corre insieme a te e che ti dà i segnali dove andare con una piccola cordicella. Un italiano, Raffaele Panebianco, che da ragazzino ha trovato insieme al cugino un ordigno della vecchia guerra, ci ha giocato, questo gli è esploso negli occhi e lui ha perso la vista ( la violenza delle armi). Bene, questo signore ha vinto la medaglia d'oro, undici tappe massacranti sulla via della seta. E quando è tornato trionfante in Italia, ci aveva colpito che ci raccontava il paesaggio che aveva visto. E io pensavo "Boh, questo qui è cieco." Ma poi capisci: hanno visto insieme, hanno visto insieme paesaggi unici al mondo. Fabrizio, mentre correva legato a quella cordicella, descriveva lo spettacolo e Raffaele poi lo raccontava. Cosa voglio dire allora? Che hanno fatto del limite una risorsa per vincere e ci sono riusciti. È l'augurio che faccio anche a voi, dai limiti, dalla coscienza e dalla consapevolezza dei problemi che ci troviamo davanti ai nostri occhi, possiamo farne tutti una risorsa per vincere.
Quindi non ci fermiamo all'analisi di un elenco di situazioni, di conflitti, di guerra, di violenza, di crisi totale di una legalità nel nostro paese che è davanti agli occhi di tutti. Certo che ne prendiamo coscienza e scaviamole dentro ma poi prendiamo anche coscienza che unendo le nostre forze, correndo insieme con le nostre cordicelle, il limite può diventare una dimensione di cambiamento. Perché, se c'è una malattia mortale oggi, molto pericolosa ma veramente molto pericolosa, è la rassegnazione. È la delega. Non si uccide solo con le armi ma anche con il silenzio, con l'indifferenza, facendo niente o dicendo agli altri "Fate voi" e non sentendo dentro prepotente la coscienza e la responsabilità che il cambiamento ha bisogno anche di noi e che comincia dalle piccole cose.
La Corte Costituzionale italiana, con parole di grande civiltà, ha affermato che i diritti fondamentali valgono per tutti e che in tema di libertà personale, di possibilità di difesa, di tutela della dignità personale, non c'è differenza tra nativi e migranti; che un cardine di ogni stato di diritto è la possibilità di limitare la libertà delle persone solo in presenza di reati e con le garanzie di difesa. La nostra legge sugli immigrati calpesta questi diritti, è una legge IMMORALE oltre che incostituzionale. Inoltre non rispetta i criteri internazionali. Sia ben chiaro, chi commette dei reati ne deve rispondere. La legalità e il rispetto delle regole vale per tutti, vale proprio per tutti. Ho detto PER TUTTI. E non deve accadere che qualcuno si modifichi le leggi e se le faccia modificare per sé stesso. Vale per tutti, perché noi in carcere incontriamo dei poveri cristi che non hanno sfilze di avvocati, soldi, strumenti per difendere le loro ragioni. Nessuno vuole giustificare la violenza e i reati, ma il diritto, lo stato di diritto, non può prendere delle scorciatoie. Noi abbiamo avuto persone che non hanno commesso reati, ma hanno subito quella detenzione amministrativa per stranieri irregolari introdotta - sia ben chiaro - dalla legge Turco-Napolitano e poi potenziata alla grande dalla legge Bossi-Fini. Noi abbiamo avuto in un anno, in questi centri che sono i CPT, 16924 persone, in questa situazione. Tutto ciò avviene in un paese come il nostro.
Allora io credo che il futuro della vita tra libertà e responsabilità comincia proprio dal rispetto dei diritti, delle regole, dall'affermare che la legalità vale per tutti e dal mettere in grado tutte le persone di avere adeguate condizioni di vita. Ricordo un grande amico che voi avete conosciuto e che purtroppo ora non c'è più, Antonino Caponnetto, il magistrato che ereditò la procura di Palermo dopo la morte, con un'autobomba, del procuratore Chinnici. Chinnici aveva un'idea: "Facciamo un pool di magistrati." Caponnetto prende questa idea e dice: "Vediamo di lavorare insieme, superiamo la solitudine anche investigativa: più intelligenza, più scambi, più confronti porteranno i loro frutti." In quel pool c'erano giovani magistrati, tra cui Falcone e Borsellino. Quando morì Falcone e poi Borsellino, tutti si ricorderano Antonino Caponnetto, questo magistrato che li aveva avuti come figli, girare per i rottami delle auto esplose in via D'Amelio e pronunciare quelle parole che hanno fatto il giro del mondo: "È finita, è proprio finita." Sai, è morto Falcone, è morta Francesca e i ragazzi della scorta a Capaci. Poi muore Borsellino e i ragazzi della scorta, sotto la casa della mamma in via D'Amelio. E quest'uomo, di 72 anni, che ha speso una vita al servizio dello stato e delle istituzioni, è smarrito. Io me la ricordo quell'immagine, mi ricordo Caponnetto che dice: "È finita, è proprio finita." Però due giorni dopo, di fronte alla bara di Paolo Borsellino, lui chiede perdono, chiede perdono per queste parole e di fronte a Paolo prende l'impegno di mettersi in gioco, di fare la propria parte per quel sogno di costruire giustizia, di affermare i diritti, la legalità - che era la vita di Paolo, la sua professione, il suo impegno - e di portarlo ancora avanti. Antonino Caponnetto, a 72 anni, comincia a girare l'Italia: paesi, scuole, piccole città, sezioni di partito. Dove viene chiamato, sempre più con un filo di voce, porta la sua parola, la sua testimonianza, il suo pensiero, anche le sue provocazioni. E quest'uomo, sempre più anziano, sempre più stanco, sempre più malato ma che non ha mollato fino alla fine, rivolgendosi ai giovani, dice: "Abbiamo sempre parlato di legalità, di democrazia, di libertà: di quei principi e valori cioè che devono accompagnare il vostro cammino e la vostra crescita. Credo di conoscere i giovani d'oggi, i loro pensieri, le loro speranze e anche le loro delusioni, spesso provocate dall'incomprensione e dalla stoltezza degli adulti. So quanto siano forti in voi le spinte verso la solidarietà, la pace e la giustizia. Voi potete, sol che lo volete, veramente realizzare questi grandi ideali. In fondo gli stessi ideali che ispirarono, oltre 50 anni fa, la nostra Costituzione, i soli per la quale vale la pena vivere." Bella questa forza di fiducia nei giovani e nel dire loro, da parte di questa persona molto anziana, quanto forti siano le loro spinte verso la solidarietà, la pace e la giustizia.
Ma anche l'affermare l'importanza di quei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione. La Costituzione. Il futuro della vita tra libertà e responsabilità vuol dire oggi che dobbiamo sentire la responsabilità che nessuno metta negativamente mano alla nostra Costituzione. C'è un articolo della Costituzione, l'articolo 3, che afferma un valore che è quello dell'UGUAGLIANZA. Ma attenzione perché, in modo sottile sottile, nella testa di troppe persone, questo valore dell'uguaglianza sta diventando un disvalore. Non è quindi solo un problema che dicono: "Molti diritti non vengono più applicati perché non ci sono mezzi, non ci sono soldi; come facciamo a creare quei servizi e quegli interventi per le persone se c'è la crisi economica?". No, non è solo un problema di crisi economica ma è un problema culturale perché nella testa di qualcuno quelle situazioni impediscono il progresso, le frange più fragili non ti permettono lo sviluppo. L'uguaglianza viene quindi messa in discussione e vissuta come un disvalore. Non possiamo allora tacere. Pensa che nella mia città, un signore di 70 anni, che dorme in una scatola di cartone e mangia nel freddo - che è più freddo che qua da voi - ha fatto un grande cartello in cui c'era scritto: "Mi crea più sofferenza la vostra indifferenza che la mia pancia vuota." La sua non è una richiesta tanto di elemosina - anche se poi ha bisogno di avere qualche cosa - ma soprattutto è una richiesta di dignità, un grido che dice che non basta essere buoni ma è necessario essere giusti. Qualcuno vorrebbe modificare la nostra Costituzione, cancellarne alcuni articoli perché non sono più moderni: certamente ci devono essere degli aspetti che devono essere aggiunti, che devono leggere i cambiamenti e le trasformazioni che si sono succeduti nell'arco di questi anni. Ma lo spirito della nostra Costituzione deve essere difeso, non calpestato, come è stato calpestato con l'Articolo 11, quello che dice che l'Italia ripudia la guerra. Allora capisci che noi siamo qui perché siamo convinti che la libertà di tutti si gioca sul terreno dei diritti, della dignità umana e della giustizia sociale. La libertà di tutti, non solo di qualcuno. Nello stesso modo diciamo che il rispetto delle regole, la legalità, la giustizia, devono essere un impegno di tutti. Tutti devono rispettare le regole e non che chiediamo di farlo agli altri, poi ognuno fa esattamente quello che crede e che vuole.
Lasciatemi allora citare un grande vescovo che è stato per me un padre. Cito un uomo di Chiesa e questo è importante, perché sento poche voci chiare, ferme, coraggiose nella Chiesa che dicono delle cose. Qualcuno dice che la Chiesa non deve fare politica ma di solito chi lo dice, poi la fa e la fa per quattro lenticchie. Noi non siamo qui per giudicare nessuno, io devo fare il mio esame di coscienza e guardare i miei limiti e le mie fragilità innanzitutto, anche come uomo di Chiesa. Però credo, per una radicalità profonda al Vangelo, che non si può dimenticare che Cristo non ha taciuto. Non è stato zitto. Lui ha preso posizione, si è schierato, ha denunciato, ha comunicato proprio con tutti, chiedendo però conto delle responsabilità. Mi fa piacere ricordare il mio vescovo che veniva sovente qui, alla Pro Civitate d'Assisi e che si faceva chiamare padre Michele Pellegrino. Padre, non eccellenza o eminenza, proprio questa affettività. E lui scrisse una lettera pastorale che è diventata storia, meravigliosa e in cui scrisse che è dovere della Chiesa, di tutta la Chiesa, denunciare l'abuso del denaro e del potere. Non dico, state attenti, che la denuncia basterà ad eliminare questo abuso, questo peccato che lede la giustizia e la carità fraterna. Dio non ci chiede di eliminare dal mondo il peccato, ci chiede di denunciarlo come lo ha denunciato Cristo. Non siamo chiamati a far chissà che cosa, ma questo sì, unendo le nostre forze ci si chiede di denunciare le cose che non vanno. Quindi lo auguro anche a te, di trovare sempre la forza di correre con quella cordicella. Il nostro futuro sarà possibile se scegliamo una piccola vocale, la vocale "e" e non la "o". Vuol dire che uniamo le nostre forze, i nostri movimenti, i nostri gruppi per quell'obiettivo che è costruire giustizia, pace, legalità, vera solidarietà. Possiamo fare del limite una risorsa, costruendo e lavorando insieme. È utopia questa? Qualcuno diceva: "Intanto questi hanno fatto lo stesso la guerra anche se voi eravate 3 milioni sulle piazze del mondo". No, non hanno vinto loro, non hanno vinto loro!
Dicono che non ci sono i soldi. Volevo allora spiegarvi, solo per un attimo, dove vanno a finire i nostri soldi, poi ognuno decida se ci sono o non ci sono. Io non voglio semplificare, dico solo che la povertà uccide più delle guerre e non c'è bisogno che lo dica io. Che le malattie, il degrado, il controllo dell'acqua sulla faccia di questa terra, sono grandi nodi che devono essere affrontati. Io dico solo che le guerre del XX secolo hanno ucciso, secondo i dati dell'Osservatorio della Svezia, 111 milioni di persone. La media delle persone che muoiono ogni anno è di un milione, anche se poi abbiamo avuto situazioni di milioni di morti, come il Rwanda. Però attenzione, il potere distruttivo delle malattie infettive è ogni anno 14, 15, 20 volte maggiore. L'anno scorso sono morte per malattie infettive 14 milioni di persone, malattie che qui da noi si possono curare benissimo. Allora dicono che non ci sono soldi, non ci sono soldi, capite? Non vogliono esserci, i soldi! Un rapporto ufficiale afferma che ci sono 28 mila armi nucleari: otto stati nel mondo dispongono di 28 mila ordigni nucleari. Ci sono sei stati con armi chimiche, il 98% di queste armi sono in possesso della Russia e degli Stati Uniti. Ma nessuno vuole mettere etichette a Tizio o a Caio. Il dovere è essere documentati, sapere come stanno le cose. Sono 17 milioni, lo dice l'ONU - certamente per difetto - i rifugiati costretti a lasciare la propria casa per colpa di guerre o di disastri ambientali e che vivono in tende, in baracche, in situazioni terribili. Per la conquista del controllo dell'acqua e del petrolio, ci sono dei conflitti in atto e in dieci anni, questo è il dato ufficiale - anch'esso per difetto - ci sono stati cinque milioni di morti e sei milioni di profughi. Il problema dell'acqua è un grande problema. C'è un mio grande amico, Zanotelli, che sta facendo una battaglia, ci sono Petrella, che è un piccolo grande genio di tutto questo, i movimenti, che si stanno muovendo: perché è stato calcolato che nel 2025 avremo sulla faccia della terra tre miliardi di persone senza acqua (attualmente sono 500 milioni). Si morrà di sete. Il deserto che avanza, il mondo che non investe più, la povertà che cresce. Allora capisci, dove va il denaro? Va per gli armamenti, va per garantire sempre di più chi già ha. Anche per il nostro paese, vi leggo, sperando di non rubarvi troppo tempo, dove va il nostro denaro. Vi leggo la documentazione ufficiale, quella che in parte viene tenuta nascosta. A fine ottobre 2004, Italia e Francia hanno firmato uno stanziamento di denaro per ammodernare le proprie flotte. Il contratto prevede la costruzione di 27 fregate multimissione, dieci per la marina italiana e 17 per quella francese. Ma noi partecipiamo come Italia anche allo sviluppo del supercaccia americano F35. Noi paghiamo per questo progetto un miliardo di dollari. Acquisteremo poi 130 di questi veicoli. Partecipiamo poi al progetto del caccia F2000 con cifre da capogiro. L'Italia ha una cooperazione con Germania, Gran Bretagna e Spagna relativa allo sviluppo e all'acquisizione di veicoli per la difesa aerea e lì investiamo, per il momento, 18.100 milioni di euro. La Corte dei Conti ha fatto già delle osservazioni. Paghiamo in leasing alla Gran Bretagna 24 veicoli tornado, per un onere di 1450 milioni di euro. E ancora, dopo una prima portaerei già varata, la Cavour, una seconda portaerei, l'Andrea Doria, verrà consegnata per l'anno 2008 con una stima di 2500 milioni di euro.
Noi dobbiamo ribellarci a tutto questo. Io mi pongo una riflessione sull'investimento di tanto, tanto denaro che va in questa direzione quando c'è chi, come molti di voi, tutti i giorni, opera sulla strada, nelle carceri, con i malati di AIDS, con chi vive il problema delle dipendenze, dell'alcoolismo, delle fasce di povertà, della solitudine degli anziani. Fa parte della nostra vita, delle nostre scelte e del nostro impegno. E quando ti si dice che c'è una diminuzione continua di denaro, che alcuni progetti nuovi non si possono aprire, che alcuni servizi incominciano a traballare, quando emerge questo precariato dei diritti, io credo che abbiamo il dovere di non tacere, di tirare fuori le nostre unghie e certamente di non mandare a dire tutto questo.
Sai cosa vuol dire comunità? Un gruppo di individui? Sì, però è anche altro. Comunità e immunità provengono dalla stessa radice latina, "munus". È importante il valore delle parole, "munus" vuol dire legame, vuol dire dono. Quando parliamo di comunità - civile, ecclesiale, la nostra comunità - non dimenticare che vuol dire dono e legame. Tu vivi in una comunità, quella dei tuoi amici, dove tocchi con mano il dono e tocchi con mano il legame che ti lega agli altri. Tu sai anche che è l'altro che dice chi tu sei, dove sei, dove vai. È nel rapporto con l'altro e con gli altri che tu scopri chi sei veramente, dove vai o dove sei. E quindi munus è la responsabilità che abbiamo nella comunità, che dovremo avere verso gli altri. Allora in questo senso noi siamo chiamati a costruire comunità. Immunità, che proviene dalla stessa radice, è esattamente l'opposto. È il cercare strade per non dover rispondere agli altri di quello che uno fa. Tu vedi quindi gente che costruisce comunità, che vive il dono, che vive il legame, l'impegno e l'attenzione agli altri come trovi molti che invece sono più proiettati su sé stessi e cercano di nascondersi per trovare un'immunità alle cose che hanno fatto e magari non vanno assolutamente bene.
In questo senso mi sembra di poter dire che un fattore che mette a rischio la giustizia e la pace nel nostro paese è la caduta del senso della moralità e della legalità nelle coscienze e nei comportamenti di molti cittadini italiani. Questo è un fattore che mette a rischio la giustizia e la pace, una situazione che rischia di inquinare profondamente il nostro tessuto sociale se non viene affrontato. La legalità, ossia il rispetto e la pratica delle leggi, costituisce una condizione fondamentale perché vi sia libertà, giustizia e pace fra tutte le persone. Ed è per questo che oggi, aprendo la riflessione a Perugia, ho parlato di due cose che voglio condividere con voi. La prima, è l'inganno delle parole; la seconda, il diritto alla rabbia.
L'inganno delle parole perché a parole tutti parlano di giustizia, tutti dicono legalità, tutti parlano di solidarietà. Chi è che non parla di pace? A parole. Le parole, nessuno dovrebbe celebrarle, dovrebbe sbandierarle e svuotarle del loro vero significato, del loro valore. Queste parole devono essere rispettate, nella loro interezza, nel loro valore profondo. Pace è pace ed è pace positiva. Giustizia vuol dire proprio quell'uguaglianza, i diritti devono essere rispettati. La solidarietà è quella che si salda con la giustizia, la democrazia è quella che ha la reale partecipazione dei cittadini. Dobbiamo stare attenti all'inganno delle parole, di chi le sbandiera, le usa, le svuota di tutto il significato. Voi mi insegnate anche che dove manca la parola, c'è violenza e c'è ingiustizia. Ma oltre a creare le opportunità perché tutti possano parlare, dobbiamo creare però anche le opportunità perché tutti possano essere ascoltati. La vera partecipazione, la vera democrazia comincia dalle piccole cose, dai nostri contesti, dalle nostre realtà.
La seconda cosa che mi sono permesso di dire con forza agli amici di Perugia è il diritto alla rabbia. La rabbia è un sentimento dell'animo, un movimento del cuore. La rabbia, nell'Antico Testamento, era espressa dall'ira: l'ira di Dio, l'ira dei poveri o dei giusti, inteso, questo movimento del cuore, come un sentimento umano. La rabbia e l'indignazione, la protesta e la denuncia, quella che un grande Papa ha chiamato la "collera dei poveri". E io, quando vi parlo del diritto alla rabbia, vi auguro di sentirla anche vostra. Rabbia per me è anche e soprattutto un atto d'amore: un atto d'amore, perché ci si arrabbia per le cose che ci stanno a cuore, per le cose che si amano. E noi amiamo la giustizia e l'uguaglianza. Di fronte a questi numeri, a queste storie, a queste violenze noi sentiamo forte e prepotente dentro di noi la rabbia fatta d'amore per la giustizia e per la legalità, perché si volti assolutamente pagina e si cambi in un certo modo. Sono queste alcune considerazioni che mi sembrano estremamente importanti.
Ne diciamo ancora una che è fondamentale. La giustizia, come la legalità, non è solo una virtù personale ma ha valore nella dimensione sociale. Questo significa che trasgredire, disattendere, barare, tradire, deridere la legalità non costituisce solo una colpa per la persona in causa (me la vedo con la mia coscienza, è un problema mio personale, punto e basta) ma è anche una ferita per l'intera comunità, per la società tutta. Chi di noi ha ruoli di funzione pubblica non è tenuto all'onestà solo in quanto soggetto etico che risponde alla propria coscienza ma anche perché rappresentante del sistema sociale. Tu hai questa grande responsabilità, c'è questa doppia istanza etica, personale e collettiva, sociale e comunitaria. Quel dono e quel legame che la comunità ti chiede, di rispetto, di attenzione, di impegno per creare condizioni di vita e di libertà per tutti. Questo lo dico innanzitutto a me stesso, per il ruolo pubblico che ho, per le cose che faccio con Libera che mette insieme 1200 gruppi in Italia, impegnati con quella cordicella a camminare e a correre insieme, a fare del limite una grande risorsa nel contrasto alla criminalità, alle mafie, al mondo dell'illegalità.
E per andare a finire, io credo che ci sia ancora questo ruolo della politica che ci appartiene veramente a tutti. Io ho sempre detto - forse qualcuno l'ha già sentito, lo ripeto qui questa sera - qual è il mio sogno. Il mio sogno è che sparisca il volontariato. So che qualcuno storce il naso, cosa vuole dire Don Ciotti quando dice "che il mio sogno è che sparisca il volontariato"? Vuol dire esattamente il contrario di quello che uno pensa. Il sogno, l'utopia è che il volontariato, la solidarietà non siano solo virtù di qualcuno, l'eccezione ma diventino la regola di tutti. Tu non sei un cittadino se, nel tuo essere persona, non sei anche volontario e volgi la testa verso gli altri. Tu non sei un cristiano se non hai questo riferimento e non sei una persona solidale. Fa parte del tuo essere cristiano la solidarietà, il faccia a faccia con gli altri, il metterti in gioco con gli altri. Fa parte della tua vita quella quota d'attenzione agli altri. E il mio sogno è anche che ognuno di noi senta dentro di sé l'impegno politico. Paolo diceva: " La politica è la più alta forma di carità." La politica non è solo quella di chi amministra e di chi governa. Ben vengano uomini e donne, puliti e trasparenti, coraggiosi - ce ne sono e ce sono anche tanti - che spendono tante forze e tante energie. Io ho trovato gente che ci crede, che si sporca le mani, che si mette in gioco, che fa questo servizio. Politica vuol dire proprio impegno per il bene comune, questo servizio per il bene comune. Ma questo impegno non può essere portato avanti solo da chi si occupa di questo servizio. Naturalmente ho trovato anche tanti lazzaroni, come ho trovato gente che si nasconde dietro i banchi del parlamento con la propria immunità parlamentare. Però mi sembra importante fare emergere il positivo che c'è e saper cogliere le cose belle che ci sono dentro le nostre realtà. Politica non è solo quella del governo, di chi amministra e anche noi dobbiamo sentire questa dimensione politica come impegno per il bene comune. Allora io credo che i nostri gruppi debbano, mai come in questo momento, ritrovare la forza, la passione e la libertà di un pensare politico che non può mancare dalle nostre comunità. L'augurio è che questa dimensione ritorni con forza dentro le nostre scelte e dentro la nostra vita. Piuttosto che parlare generalmente di politica, io vorrei parlare di politiche al plurale. Vorrei vedere politiche, servizi, interventi, attenzioni ai bisogni di casa nostra e alla mondialità. Politica è fare scelte, non è gestire l'esistente ma costruire progetti dentro un'attenzione, un sogno, una profezia. Bisogna rischiare, mettersi in gioco, inventarsi di tutto. Una politica che non sa trasformare, non costruisce speranza.
C'è una canzone di Vecchioni che dice: "La vita è che così forte che attraversa i muri per farsi vedere." Che bella immagine! Questa sera abbiamo parlato della vita, delle storie delle persone, dei diritti, della dignità umana, del denaro che deve essere speso per creare le condizioni perché la gente possa vivere e non essere travolta da certi tipi di situazione. Ho davanti ai miei occhi un ragazzino di 17 anni, a Rimini. Lui era partito con un sogno, quello di arrivare in Italia e di trovare un posto di lavoro. Si era ficcato in quelle solite carrette, era riuscito a sbarcare e si era nascosto su un camion di frutta e verdura che doveva arrivare a Torino. Ma questo camion a Torino non è arrivato. Su un piazzale di Rimini, il camion si è fermato e l'autista, sentendo dei rumori strani, ha visto che, schiacciato dai cocomeri e dalla verdura, c'era un ragazzino. Non ce l'hanno fatta a salvarlo. La cosa che mi ha colpito e che mi fa continuamente riflettere - so che può sembrare retorica, ma per chi tutti i giorni si confronta con la storia delle persone, non è retorica: è vita - è questa: quando è stato estratto, tutti a cercare il suo bagaglio, se aveva una borsa, una valigia. Non aveva nulla. Il ragazzino di 17 anni, con il suo sogno, aveva come bagaglio un sacchetto di plastica. Quando si è aperto il sacchetto, dentro si è trovato tutto quello che aveva: le fotografie dei suoi genitori e dei suoi fratellini. Non aveva altro.
A Genova ho partecipato al funerale di un ragazzino di 15 anni, un rom della Romania, nel campo nomadi. Lui frequentava la scuola media del quartiere ed era bravissimo. Faceva la terza media - era in ritardo perché nomade - e i compagni si erano innamorati di lui perché studiava tanto e si era fatto valere. Era sempre preparato, attento, aveva voglia di farcela. Questi stupendi ragazzini che arrivano da storie diverse e pongono delle riflessioni anche a noi. Aveva voglia di farcela. Quella sera, i genitori sono andati all'estremità del campo in un'altra baracca mentre lui era nella sua baracca, con la stufa a legna, e si era messo a studiare. Chissà cosa è successo? Quando i genitori sono tornati non c'era più la baracca e non c'era più neanche Bouiorsau. Era morto carbonizzato. La cosa che è entrata profondamente nella mia vita è che il giorno del funerale del ragazzino, sono venuti i suoi compagni e la brava professoressa di lettere. Combinazione, lei, quella mattina - lui morirà la sera nel rogo - aveva dato un tema in cui chiedeva di scrivere quali erano i loro desideri alla fine delle medie, che cosa avrebbero fatto, i loro sogni. E in un pezzo di quel tema - scritto bene - lui aveva scritto che il suo sogno era diventare cittadino italiano.
Tutto questo avviene nella nostra Italia, in cui dobbiamo essere orgogliosi di tante stupende cose ma dobbiamo essere anche vigili nel mettere in evidenza quelle parti che non funzionano, che non sono attenti alle persone, che non contribuiscono a creare quei percorsi di dignità e di vita per tante persone. Un'altro cosa, se te lo posso raccontare: quando muore Falcone, c'era un ragazzo della scorta che si chiamavi Schifani. Lui era un atleta, correva, tanto è vero che per un anno o due hanno fatto un meeting in nome di questo ragazzo (poi non lo hanno fatto più perché le cose, dopo un po', la gente se le dimentica). Al funerale sua moglie - immagina questa ragazza che perde lì il suo sposo, Vito Schifani; la vedi che va al microfono, grida, piange, s'inceppa, non riesce a parlare, poi riprende il microfono, con l'aiuto di un cugino sacerdote che le è vicino - trova la forza e il coraggio e grida, grida delle parole che ti entrano dentro per la vita: "Vi perdono, ma inginocchiatevi." Poi non parlerà più. Nel decennale della strage, Rosaria Schifani, dopo aver ricostruito la sua vita, rilascia un'intervista, in cui dice queste parole che trovo così vere. Ci deve essere un modo per sconfiggere la mafia ma perché accada non possiamo credere con ipocrisia che la mafia sia solo a Palermo o solo nel sud. La mafia è oramai ovunque, perché cammina nella testa della gente, si manifesta nei modi di comunicare, negli atteggiamenti, nella rassegnazione. Molti nostri modi di fare, di esprimere, di agire, non sono così distanti da queste forme e da questa mentalità.
Io a Palermo ci lavoro, lavoro in questi territori di mafia, anche se poi la mia vita è in tanti altri contesti. Lì noi abbiamo accettato una grossa scommessa. Dieci anni fa è nata Libera e abbiamo detto "Portiamo via tutti i beni ai mafiosi", quel frutto del denaro e della droga, dello sfruttamento della prostituzione, dell'usura, del pizzo, del reciclaggio. Sono soldi sporchi di sangue. Loro hanno comprato beni e proprietà, hanno costruito ville, hanno ostentato il potere e il possesso. E noi abbiamo detto no, tutto questo devono restituirlo alla collettività e alla comunità. Ce l'abbiamo messa tutta, abbiamo raccolto milioni di firme e il parlamento ha fatto la legge. E sai cosa siamo riusciti a fare? A fare in modo che si potessero veramente confiscare i beni della mafia. Pensa alla strage del primo maggio del 1947, a Portella delle Ginestre, dove muoiono un sacco di persone - e poi si scopre che dietro a tutto c'è chi aveva interesse a prendere quei campi e quella terra per sè - oppure a Placido Rizzotto, il giovane sindacalista ucciso dalla mafia a Corleone nel 1948 e buttato in una fessura di terra. Nessuno riesce a trovarne il corpo, nessuno parlava, nessuno aveva visto. La giustificazione che viene data dai mafiosi in paese è che è scappato per un problema di donne. A cercare il corpo di Placido Rizzotto arriva un giovane capitano dei carabinieri, Carlo Alberto Dalla Chiesa, che tutti sanno chi è; e a sostituire Placido Rizzotto arriva un altro giovane segretario della camera del lavoro, di nome Pio La Torre. Pio La Torre, insieme ad un altro bravo uomo della politica, Virgilio Rognoni, che è attualmente il vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, firmano la prima legge vera sulla lotta alla mafia e in cui è prevista anche la confisca dei beni ai mafiosi. Era però ancora troppo debole. Quel sogno di Placido Rizzotto, di aprire le cooperative di lavoro su quelle terre, pensa che lo abbiamo realizzato noi dopo 55 anni. Ora dei giovani lavorano su quelle terre, producono la pasta, l'olio, il vino che abbiamo chiamato Placido. E adesso altre cooperative sono nate in altre zone difficili, in Calabria, in Puglia, in Campania. Lavoro vero, dignità, speranza che comincia dai giovani. E guarda che ci vuole coraggio per lavorare lì, perchè la mafia non è che ti batta le mani quando le porti via i beni,le case, i terreni, gli agrumeti. Noi facciamo questa scommessa, questa sfida che è una sfida di libertà, di responsabilità, di vita, di concretezza.
C'è una scuola media di Palermo, la Antonio Ugo - etichettata da molti - in cui arrivò anni fa una bambina sordomuta. 700 ragazzi, dei bravi ragazzi, in un quartiere un po' così. Non puoi però etichettare, generalizzare, come tanta gente fa. Ci sono situazioni più facili e più difficili. Una brava preside, dei bravi professori. Come è importante che gli adulti ci credano, ci investano, ci scomettano. Sai cosa è successo? Della bambina sordomuta non si è occupata l'insegnante di sostegno - pericolosissima, la delega - ma hanno organizzato la scuola con responsabilità interne ai ragazzi. Una palestra di democrazia e di reale partecipazione. L'arrivo della bambina sordomuta pone una domanda. A tutte le classi viene posto il tema concreto: "Che cosa loro avrebbero fatto per creare più vicinanza, più sostegno, alla bambina sordomuta?" Sai come è finita? I 700 bambini della scuola Antonio Ugo di Palermo, alla fine dell'anno scolastico, hanno fatto la loro proposta. Hanno chiesto una cosa di valore immenso che ti dice che la vita attraversa proprio i muri per farsi vedere. I ragazzi, quando vogliono, sono stupendi e c'è bisogno di adulti che li accompagnano, che li aiutino, che si mettano in gioco. I 700 bambini hanno fatto in modo che l'anno successivo si aprisse la scuola con una materia in più a scuola. Rinunciando a parte del loro tempo libero, chiedendo alla scuola un altro tipo di organizzazione e al provveditorato gli strumenti, per un anno intero i 700 bambini - perchè loro hanno proposto, voluto e insistito da cocciuti, nonostante la burocrazia e meccanismi vari - hanno tutti imparato il linguaggio dei sordomuti. Loro hanno capito che quella era il modo per creare un orizzonte di normalità e non di eccezionalità. La responsabilità e la libertà, che quella ragazza si sentisse libera di non dover dipendere dagli altri, fa crescere questa dimensione della vita. Bisogna affermare questi diritti, questa dignità umana. Anche noi dobbiamo cominciare a fare la nostra parte. Sono queste alcune osservazioni che mi sono permesso di condividere - un po' a braccio - con voi. Grazie.
Domande e interventi del pubblico
(Nota - Sono state rivolte due domande. La prima, presumibilmente, sulle difficoltà che Don Luigi ha incontrato durante il suo percorso. La seconda chiedeva di tracciare un quadro sui rapporti di Don Luigi con le istituzioni religiose e di indicare le responsabilità di quest'ultime nella diffusione della mafia.)
Prima risposta La tua domanda è giusta, pulita. Ti posso dare del tu, non ti offendi? Io do del tu a tutti! Io ho fatto una scelta nella mia vita ma anche io ho le mie fragilità, non è tutto facile, tutto semplice. Diffida di quelli che hanno capito tutto, che sanno tutto. Quando trovi qualcuno che ha capito tutti i tuoi problemi, che sa tutto, che a una domanda dà sempre una risposta, salutalo e cambia strada. Io auguro anche a te - così come lo sento dentro di me - che nella tua vita ti accompagni sempre il dubbio. Il dubbio è un segno di intelligenza, di saggezza. Uno si interroga, si rinterroga, verifica, non dà nulla per scontato. Anche io mi trovo di fronte a tanti ma tanti problemi, con il dubbio e con la consapevolezza di essere proprio una piccola cosa. Ed è per questo che ho portato l'esempio di Raffaele Panebianco e di Fabrizio Adamo. Quest'uomo, cieco, che mi raccontava i paesaggi che ha "visto". Che ha vinto le sue medaglie d'oro, facendo onore all'Italia, e i giornali non gli hanno dedicato niente. E poi ho pensato anche alla persona che lo ha accompagnato, che prende le ferie per permettere a lui di correre. In grande silenzio, c'è qualcuno che con una cordicella, permette ad altri di ritrovare la libertà, il futuro nella propria vita. Altrimenti Raffaele non potrebbe correre, capisci? E quelli che gli danno una mano lo fanno con umiltà, con silenzio: loro non vincono medaglie ma ne vincono una più grande, che non viene scritta ma è dentro di noi.
Io mi sento impotente tante volte, certamente. Mi sono chiesto tante volte anche il senso delle cose che uno fa. Me lo sono chiesto quando la mafia mi ha messo il tritolo, se dovevo continuare a guardare in faccia quella realtà oppure no. Me lo sono chiesto. Sono consapevole del limite ma sono anche consapevole di come, in questi anni, abbiamo dato una mano a tanti ragazzi a ritrovare un senso e un significato fuori dalle dipendenze. C'è qualcuno che non ce l'ha fatta, ma molti ce l'hanno fatta. Tante volte ti senti proprio piccolo, ma piccolo, piccolo, piccolo. Quando guardi lo scenario del mondo che ti circonda, pensi che sia inutile quello che noi facciamo. Ma ti sei accorta che, ad un certo punto, ho detto che quei tre milioni sulle piazze per la pace alla fine hanno vinto? È un paradosso perchè la guerra c'è stata in Iraq, c'è l'arroganza di molti potenti che continua a perdurare. Ma è anche vero che c'è tanta gente che si muove e che si mette in gioco. E io credo che se questo mondo si allarga, qualcosa cambia e cambia in un certo modo.
Ecco, tu stessa vieni, un venerdì sera, a Bastia Umbra, a riflettere con un poveretto come me! A me fa piacere, sai? Io ho cominciato alla tua età. Avevo litigato con i preti, non potevo vederli! Oggi sono prete e sono felicissimo di esserlo, ma delle volte ne incontri alcuni che sono delle pizze! La mia chiesa era Santa Rita da Cascia, a Torino. Forse voi non lo sapete, ma chi ha fatto conoscere Santa Rita da Cascia nel mondo è stato un prete di Torino. Non la conosceva nessuno questa povera Santa Rita da Cascia! Poi negli anni '30 arrivò a Torino un parroco a cui il vescovo diede il compito di costruire una parrocchia alla periferia di Torino e a cui lui diede il nome di Santa Rita da Cascia, la santa degli "impossibili". Lui, a suo modo, era un genio. In quegli anni di migrazione, incominciò a fare il giornalino di Santa Rita da Cascia per gli Italiani all'estero, scrivendolo in diverse lingue, e in questo modo fece conoscere la santa nel mondo. Io, da ragazzino, andavo all'oratorio di quella parrocchia e sono cresciuto lì. Nel santuario di Santa Rita c'era un'immensa statua d'argento e i ragazzi migliori venivano scelti dal parroco - era un privilegio che il parrocco ti scegliesse nel santuario - per stare davanti alle candele elettriche. Migliaia di persone compravano i gettoni e li inserivano per accendere le candele. E l'incarico che ci veniva dato era quello che dovevamo subito spegnere queste candele perchè altrimenti non c'era il giro, non c'era mercato, capisci? I migliori stavano davanti a queste candele e dovevano fare questa roba. Io ero uno di quelli, scelto dal parroco. Io guardavo questa gente in faccia, la guardavo negli occhi. Questi venivano con la loro devozione, c'era qualcosa dentro di loro, e tu la devi rispettare. Il parroco invece era un menager! Però non puoi monetizzare tutto. Quindi loro mettevano il gettone e io lasciavo le candele un po' più a lungo, anche se il parroco voleva che, appena la gente si girava, le spegnessimo subito. Io ero ragazzo, adolescente ma non ci sono stato. Perchè guardavo la gente in faccia, non mi sembrava giusto. E insieme al mio socio - di solito si fanno in due queste cose - mi sono impuntato, ho sbattuto la porta in faccia e ho mollato il prete. Ho sempre voluto bene al Padre Eterno, ma questi preti a volte...
E poi paradossalmente, ho fatto altri tipi di incontri sulla strada e da lì comincierà quello che diventerà anni dopo il Gruppo Abele. Il Padre Eterno è più furbo di quello che sembra! Mi trovo così ad essere felicemente sacerdote. Il mio vescovo, quando mi ha ordinato prete - io avevo già il gruppo Abele, lavoravo già nelle carceri - ha detto a tutti i ragazzi e le ragazze che avevano riempito la chiesa e che venivano dalla strada, dal mio mondo: "Io so che voi pensate che adesso prendo Luigi e ve lo porto via, lo mando in una qualche parrocchia. No, io ve lo lascio, la sua storia arriva dalla strada e lì deve restare. Deve stare con voi. La parrocchia che gli affido sarà la strada". Così è stato.
In questi anni ho avuto tanti momenti di fatica, ma ho sempre creduto in quelle "e" per cui devi lavorare insieme agli altri, costruire una rete, produrre cultura. Ecco perchè abbiamo una casa editrice, ecco perchè abbiamo tre riviste. Una per i ragazzi, si chiama piano di comunicazione Macramè, in cui siete voi ragazzi ad essere i protagonisti, ad essere i redattori. Se vai sul sito del Gruppo Abele la trovi. C'è quella poi per gli insegnanti e per gli operatori che si chiama Animazione Sociale. C'è poi l'Università della Strada, che abbiamo fondato nel '78 per la formazione del volontariato e degli operatori nel pubblico e nel privato. È per questo che abbiamo aperto un centro di documentazione e di ricerca che lavora con otto centri europei per fornire strumenti di formazione e conoscenza. Noi abbiamo investito le nostre forze sulla dimensione della cultura perchè non basta accogliere, non basta amare le persone in difficoltà (anche se è importante): però poi devi attrezzarti anche per leggere i cambiamenti e le trasformazioni per conoscere e per lavorare meglio nel servizio e così è stata un po' la nostra storia. Quindi non solo accoglienza, ma anche cultura e dimensione politica nel senso lato del servizio per il bene comune; il quale è fatto anche di denuncia, perchè non si può tacere davanti a certe cose ma dobbiamo dare voce insieme alla strada e rischiare.
Ti porto un esempio. La legge sulla confisca dei beni alla mafia, quella in cui abbiamo raccolto un milione di firme. Adesso c'è chi vuole fare delle modifiche e nel nuovo disegno di legge del Governo, c'è una clausola in cui ci sono scritte due cose. La prima cosa è che chiunque può fare, senza limiti di tempo, ricorso su un bene confiscato. Confischiamo un bene a Totò Riina, lo diamo ad una cooperativa perchè serva per dare lavoro ai giovani oppure facciamo come è successo a Mesagne in Puglia, dove una casa è stata data ad un gruppo di giovani che hanno un' associazione che si chiama "L'allegra compagnia" e che fanno animazione di strada con i ragazzi: in un comune, Mesagne, che è famosa perchè lì è nata la Sacra Corona Unita. Quel paese è rinato e quei beni devono restare in mano a quei giovani, che hanno aperto un lavoro di strada meraviglioso. Invece no, in base a questo nuovo disegno di legge, basta che chiunque - parente, cugino, amico dell'amico - dica qualcosa e si ferma tutto. Anche se il bene è stato già consegnato da dieci anni. Capisci? La seconda cosa è invece che le nuove leggi dicono che si possono vendere i beni confiscati ai mafiosi. Sono leggi collaterali, ad esempio quella sull'usura dice che per avere il reperimento dei fondi, se non bastano quelli che ti dà lo stato, si possono vendere i beni. Ma qui c'è il precariato del sistema della legge. Perchè parlo del precariato dei diritti? Perchè i diritti fondamentali, se sono legati ad un dato economico, sono "non diritti"! Dicono che non ci sono soldi e quindi non possono fare quel servizio o quell'intervento. Lo stesso vale sui beni confiscati, perchè dicono che, se non ci sono i soldi, tu puoi prendere il denaro vendendo i beni, andando però contro un principio sancito dalla legge.
Per cui uno, anche se tira fuori le unghie e unisce le forze, si sente piccolo. Come mi sento impotente di fronte alla malattia, alla morte. Io ho visto morire tanta gente, sai? L'AIDS è stata una strage. Il Gruppo Abele ha pubblicato il primo libro sull'AIDS tra la derisione e gli attacchi di chi diceva che erano le solite esagerazioni di Don Ciotti. Noi eravamo già in contatto con gli Americani, con i movimenti gay, con diverse associazioni e avevamo già il sentore che quella sarebbe stata una strage. Poi è arrivato quello che è arrivato, con dei ritardi responsabili nella prevenzione. Noi aprimmo subito una struttura per accogliere persone malate anche se non c'era ancora la legge e non c'erano ancora i contributi: ma non importa, ti indebiti se c'è bisogno. Io in quell'anno ho sepolto 58 persone. Ogni settimana avevo un funerale. Per non parlare di chi moriva per droga. In tanti momenti ti senti impotente.
Ti devo però dire di avere visto risorgere tanta gente che è riuscita a ritrovare un senso alla vita, a smettere con le dipendenze. Quindi non scoraggiarti se nel cammino troverai dei momenti di fatica. Lasciati raggiungere sempre dal dubbio e soprattutto non dimenticare di essere "analfabeta": nel senso che non ti devi mai accontentare di quello che studi, dei titoli che prenderai ma di essere sempre inquieta dalla voglia di approfondire sempre di più, di conoscere sempre di più. Non sentirti mai a posto, perchè c'è un cambiamento nella società e nella storia delle persone che avviene con una velocità impressionante e che impone a tutti l'umiltà nello studio, nel confronto, nell'approfondimento. Quando io ho cominciato - quest'anno sono i 40 anni del Gruppo Abele - la droga non c'era. Noi cominciammo sulla strada, con le ragazzine nel giro della prostituzione, con le ragazzine in carcere; poi incontriamo la droga negli anni '70. Nessuno di noi avrebbe pensato che, anni dopo, avremmo trovato le nuove droghe. Nessuno di noi avrebbe pensato che, cammin facendo, ci saremmo sbattuti con il problema dell'AIDS. Nessuno di noi avrebbe pensato che, anni dopo, avremmo trovato di nuovo ragazze sulla strada con altre caratteristiche. Essere "analfabeta" vuol dire avere voglia di leggere queste situazioni, di interrogarsi e soprattutto avere quella grande elasticità che impone il servizio. Tu sei una ragazza sveglia e farai delle cose stupende. Ti faccio gli auguri in questo senso.
Seconda risposta Ti racconto una barzelletta prima, simpatica, bella. La Trinità finalmente può andare in vacanza, il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo possono andare in vacanza. Il Padre dice: "Visto che ho questa possibilità, vado al Polo Nord a vedere gli orsi." Il Figlio invece dice: "Già che posso, vado al Polo Sud a vedere i pinguini." E lo Spirito Santo dice: "Beh, un'occasione così non me la faccio sfuggire neppure io. Vado in Vaticano, perchè non ci sono mai stato!" È una barzelletta, ma la dice lunga in questo senso!
Io scherzo evidentemente. Noi dobbiamo l'ubbidienza al nostro vescovo e io ho sempre avuto un grande rapporto con il mio vescovo e la mia diocesi. Non ho mai mandato a dire quello che pensavo ma sempre in modo attento e rispettoso, perchè uno può dire delle cose, manifestarle, documentarle e portare umilmente il proprio contributo. Io credo che la Chiesa debba essere profetica. La parola di Dio, a cui noi dobbiamo fare riferimento, è una parola che non dà molto spazio a compromessi, a giochetti, a silenzi. Lui ha pagato con la sua vita la coerenza e la continuità di quella fame di giustizia. Io credo che la Chiesa o ha questa profezia per cui sta dalla parte di chi vuole costruire percorsi di giustizia (che valgono per gli inclusi come per gli esclusi) o non è Chiesa. Quando parlavo prima che per un piatto di lenticchie...io resto un po' preoccupato. Guarda le scuole cattoliche, gli oratori, altre cose: hanno fatto dei patti che personalmente non credo che aiutino, sono disonesti a mio modo di vedere.
Io collaboro con molte chiese e con molti vescovi. Ci sono dei pezzi di Chiesa stupendi, coraggiose, altre un po' meno. Nell'ambito di cui mi occupo, la mafia, vi è un forte contrasto. Nel 1993, nella Valle dei Templi, il Papa gridò "Convertitevi" ma dopo non ho più sentito nessuna voce forte nella Chiesa. Le mafie si sentirono toccate e risposero al Papa, con gli attentati a San Giovanni in Laterano e San Pietro al Velabro. La mafia uccise poi due preti: Puglisi e il povero Don Peppino Diana, che era l'assistente dell'Agesci in Campania. Don Peppino nessuno lo ricorda mai mentre Don Puglisi...Ben venga il ricordo di Don Puglisi, non vorrei essere frainteso, però il successore di Don Puglisi, pur facendo il parroco al Brancaccio, oggi fa anche il consulente di Cuffaro alla regione. Questo mi "destabilizza" un po', fai il consulente del presidente della regione, anche lui incriminato per una serie di vicende. Ma a prescindere da questo, non è quello il tuo compito!
Io non ho mai più sentito all'interno della Chiesa una voce ferma, forte, coraggiosa, non delegata ad altri. Questo fa anche il gioco delle mafie e dei mafiosi, nel senso che la Chiesa dovrebbe avere un ruolo importante nel delegittimare i mafiosi e ancora di più in certi territori. Non deve venire l'annuncio della parola da parte della Chiesa, noi dobbiamo fare questo. L'annuncio della parola vuol dire anche chiamare per nome le cose, impegnarsi per la giustizia, denunciare le sopraffazioni e soprattutto non andare a braccetto con questi segmenti di violenza. Io credo questo, mi batto per questo, mi impegno nella Chiesa per questo. Non ho la presunzione di pensare che quello che dico sia chissà che cosa ma vedo molti sacerdoti bravi e onesti che sono lasciati soli, in territori difficilissimi. E magari vengono pure richiamati perchè hanno detto certe cose, come è successo a Don Luigi Merola che è stato richiamato perchè non deve parlare, perchè non è compito suo...Ci sono allora molti uomini e donne di Chiesa coraggiosi ma manca la voce forte che quando c'è stata in modo chiaro e determinato è andata a segno. Questi qua hanno delle complicità che si sono consolidate negli anni. Ti ricordi quando, nel 1963, ci fu la strage di Ciaculli, quella trappola dove morirono sette poliziotti e carabinieri? Un bravo pastore valdese appiccica allora per le vie di Palermo dei manifesti, senza usare la parola "mafia" ma denunciando il problema. Attraverso il segretario di stato Dell'Acqua, la Santa Sede chiese conto all'arcivescovo di Palermo Ruffini di perchè i pastori valdesi mettessero i manifesti, se c'era effettivamente qualcosa. E Ruffini, arcivescovo di Palermo, rispose che la mafia non esisteva e che era un'invenzione dei social-comunisti. Non solo, ma fece una lettera pastorale in cui attaccò espressamente un coraggioso signore proveniente dal Nord e che era Danilo Dolci.
Quella brutta stagione è stata interrotta con quelle paroli forti del Papa, con quel coraggio, con altri che si sono messi in movimento anche se oggi è ritornato molto molto silenzio. Devo dire che il Papa è stata una voce di grande chiarezza e determinazione così come il pontefice, sul problema della guerra, è stato un perno senza sconti per nessuno. Lui, che è un uomo sulla croce in questo momento, che si trascina, ha però questa capacità di riuscire a comunicare nonostante tutto e che lo fa grande. Su un tema che inevitabilmente coinvolge tutto il mondo lui non è venuto meno. Oggi vedo lui in difficoltà, ma il problema non è il Papa. Il problema sono i vertici della nostra Chiesa italiana che non hanno questa forza. Ma siccome ho già tante beghe, non vorrei prendermene una in più questa sera!
Il mio impegno è continuare umilmente a lavorare, a costruire, a dare una mano alla Chiesa, ai pastori, ai sacerdoti. In Libera ci sono tanti preti, ma tanti! Alcuni mesi fa li ho presi tutti, siamo andati vicino Roma in un convento di monaci e monache che hanno la chiesa in una tenda che è proprio una tenda! Loro vivono in baracche, vivono di agricoltura, sono un'espressione stupenda di vita religiosa. Ho portato tanti preti lì per non lasciarli soli: perchè a volte la solitudine è pericolosa, perchè parlare così è facile ma quando vivi in situazioni come quella di Forcella in cui si spara e si ammazza tutti i giorni, il trovare la prossimità e l'incontro con gli altri è fondamentale e questo deve essere il compito dei pastori. Questo deve essere il nostro compito. La Chiesa non deve dimenticare - io non lo dimentico - che bisogna essere sempre capaci di saldare la dimensione verticale con quella orizzontale, saldare la terra con il cielo. Nel Vangelo di Luca, l'evangelista mette tre fatti in successione. Il Samaritano, che rappresenta la strada, il darsi da fare ad accogliere. Marta-Maria, che vuol dire la riflessione. E solo alla fine mette il Padre Nostro. I tre fatti in successione del Vangelo al capitolo decimo di Luca ci danno un po' di ordine: la strada, gli incontri, i poveri e l'accoglienza per primi, poi lo studio e il silenzio e solo alla fine il Padre Nostro. Questo mi ha fatto sempre riflettere. Molte volte ci si limita a dire "Padre Nostro", a pregare per la pace, a pronunciare "Ascoltaci Signore, per i poveri ascoltaci Signore" con una ritiritera che non finisce più! Lui si è stancato di ascoltare! La preghiera deve incarnarsi, deve essere vita e concretezza, sennò diventa un fiume di parole che non finisce più. Mi ha sempre colpito che tutti i mafiosi, quando vengono arrestati, hanno nel portafoglio immagini di santi e santini. La Madonna c'è sempre e anche Gesù Cristo! La preghiera non è l'elenco delle nostre parole a Dio ma è tradurre la parola a Dio, esprimerla con le nostre parole, i nostri gesti. La parola di Dio ti mette in riga perchè ti chiede una coerenza, una fedeltà, un impegno.
Ecco, io dico tutto ciò senza voler escludere nessuno. Il gruppo di cui faccio parte non è un gruppo ecclesiale. Con me lavorano valdesi, buddisti, ebrei, persone che non ritengono di avere questa dimensione o che hanno comunque cammini diversi. E lo credo il più bel dono che io possa aver ricevuto il lavorare, il costruire, il camminare insieme a uomini e donne, a giovani che hanno modalità e percorsi diversi. La ricchezza di questo grande mondo. Associazioni come ARCI, Legambiente, Azione Cattolica, Agesci, Pax Christi. Questo avvalora la ricchezza perchè su certi obiettivi bisogna unire le nostre forze e trovare i punti di contatto. C'è un collante forte che è questo impegno per creare giustizia, giustizia che venga coniugata nei diritti, nell'uguaglianze e in altre cose. Vi ho fatto tardi, devo tornare a Roma. Scusate il tono della voce per questa brutta influenza che ho. Non ho però voluto mancare all'appuntamento, sono venuto volentieri. Grazie.
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