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dicono di noi
22/10/1993
Il settimanale

"Un Cristo chiamato Che"
Assisi. La figlia di Guevara interviene al dibattito organizzato in occasione dell'anniversario della morte del "comandante". Emozione al momento della lettura del messaggio per il padre. E Gianni Minà lo accosta a Gesù

Un corpo seminudo sdraiato su un tavolaccio della scuola elementare di Higueras, in Bolivia. Una mano che indica i fori dei proiettili. L'8 ottobre 1967 muore un guerrigliero, il guerrillero per antonomasia: Ernesto Guevara de la Serna, più conosciuto come il "Che", per quella inflessione dialettale tutta argentina.

Ventisei anni dopo, il circolo Primomaggio di Bastia Umbra e l'associazione Italia-Cuba organizzano ad Assisi un dibattito su Che Guevara e l'eredità che ha lasciato. E al dibattito partecipa la persona più autorevole, quella che meglio può ricordare il "lato umano" del rivoluzionario "adottato" da Cuba: la figlia Aleida. Insieme a lei, la storica Maria del Carmen Ariet, responsabile dell'archivio della Fondazione "Che Guevara" a L'Avana e il giornalista Gianni Minà, già presente lo scorso anno all'incontro "25 anni dopo Che Guevara: quale speranza per l'America Latina?".

II circolo Primomaggio, un centro culturale che raccoglie in gran parte ex demoproletari, si occupa di questioni internazionali, in particolare dei problemi legati alI'America Latina. Recentemente il circolo ha organizzato una raccolta di fondi per il finanziamento di un pozzo nella comunità rurale di Apatite, in Nicaragua. Ultima iniziativa, in ordine di tempo, l'incontro alla sala della Conciliazione di Assisi.

"Ogni tanto nasce un Gesù Cristo - ha detto Minà nel corso del dibattito - e, a suo modo, Ernesto Guevara è stato un Gesù Cristo. Nell'immaginario collettivo, il Che passa erroneamente come un inguaribile avventuriero, l'eterno ribelle. Si parla troppo e male di questo personaggio così complesso. Si nascondono le sue capacità di critico economista, le sue doti di ambasciatore cubano e il suo limpido spirito internazionalista e antimperialista".

E le doti di cui ha parlato Minà, il comandante le dimostra quando è ministro dell'Agricoltura, quando siede alla presidenza del Banco nacional de Cuba, quando partecipa alle riunioni della Tricontinentale.

Un anno fa, sempre ad Assisi, Minà aveva esternato la polemica sorta tra lui e il responsabile del "Venerdì di repubblica" Franco Recanatesi dopo il drastico taglio (da nove a tre cartelle) del suo articolo sul Che: "Lo hanno tagliato senza avvisarmi, con la scusa che ero in Messico". E ancora: "Che Guevara l'ha ammazzato un sergente dei rangers boliviani su ordine di un agente della Cia americana. Sono fatti che la storia non può smentire".

Dell'"umanesimo rivoluzionario" del Che ha invece parlato Maria del Carmen Ariet. "Un messaggio importantissimo che il Che ci ha lasciato con la sua morte: è la dialettica della liberazione. In molte parti del mondo, e non solo a Cuba, è in atto oggi una rilettura più ordinata del pensiero e dell'azione del Che. Si tratta di una rivalutazione delle sue concezioni in campo economico, del suo concetto di hombre nuevo, con la conseguente sparizione di ogni segno di alienazione dal lavoro".

Ma il momento più emozionante della manifestazione è stato quando Aleida Guevara ha letto una lettera immaginaria al padre. Una lettera (che pubblichiamo integralmente in un altro articolo) nella quale ricorda il Che. Aleida, 32 anni, vive e lavora a L'Avana, è pediatra, madre di due bambini rispettivamente di tre e quattro anni. E stata volontaria in Angola e in Nicaragua.

"Sono orgogliosa di essere tua figlia" scrive al padre nel messaggio improvvisato nel corso del dibattito. "Il tuo pensiero e la tua azione sono presenti negli uomini onesti".

Ma cosa era Guevara? Un eroe, un mito, una leggenda? Molto di meno. O forse molto di più. Guevara era un uomo. Coerente, armato dell'ideale di uomo nuovo e della sua idea di rivoluzione, "esportabile" in tutta l'America Latina. Un uomo che lascia Cuba, quando ritiene esaurito il suo compito, per andare a morire in Bolivia. Anche da vivo la figura del rivoluzionario "puro" infiammava gli animi dei giovani, forse ancor più dello stesso "padre" della revolucion cubana, Fidel Castro.

L'8 ottobre 1967 doveva morire un mito. Invece è nata una leggenda. Dopo 26 anni il Che dovrebbe uscire dalla leggenda per entrare nella storia. Ma la storia è il passato. E del Che, "uomo del XXI secolo, uomo del futuro, nomade dell'utopia (come scrisse Eduardo Galeano) non si potrà mai parlare al passato".

Giulia De Giorgi